Prendiamo atto di una cosa: gli
Editors nel 2014 sono diventati una band da “arena-rock”. Non solo per l’evoluzione della loro proposta musicale (“
The Weight Of Your Love” è quanto di più accostabile agli
U2 ci sia in giro al momento), ma soprattutto nei numeri. Lo spostamento dal PalaDozza alla ben più capiente Unipol Arena si dimostra come un atto più che dovuto: il colpo d’occhio è davvero notevole, spalti gremiti e parterre stipato per una buona parte. Non ai livelli dei
Depeche Mode (
sold-out la settimana prima), ma comunque tali da giustificare la nuova dimensione della band di Stafford.
Che “The Weight Of Your Love” sia un disco pensato per essere eseguito
live è cosa quanto mai scontata e dalla nottata dell’Unipol Arena ce ne arriva piacevole conferma: i singoli “Honesty”, “A Ton Of Love” e “Formaldehyde” trovano nuova linfa, complice anche l’empatia che si crea con un pubblico quanto mai eterogeneo. Nell’ascesa di Tom Smith e compagni, l’ultimo lavoro ha davvero parecchia voce in capitolo, con i recenti brani accolti con veri e propri boati, addirittura maggiori rispetto a classici come “All Sparks” e “Lights”. La scaletta in questo senso accontenta tutti, vecchi e nuovi fan: molti i ripescaggi da "
The Black Room" e "
An End Has A Start", come una “Someone Says” riproposta solo dal 2013 con continuità, dopo anni di oblio.
A onor di cronaca, la partenza con “Sugar” e annesse vampate di fiamme (vere) non è stata delle migliori, troppo avulse e fuori luogo - anche quando saranno riproposte in seguito - quegli effetti per l’immaginario a cui è legata la band, troppo sottotono l’esecuzione del brano. Il cambio di passo lo detta Tom Smith da “Munich” in poi, con una performance vocale in continuo crescendo e che lo conferma fra i migliori performer live attuali. D’altronde il frontman, salutato il chitarrista e titolare di molti riff memorabili per cui gli Editors sono conosciuti Chris Urbanowicz, è ormai l’unico vero catalizzatore d’attenzioni presente sul palco. La scena è tutta la sua e i tentativi di vestire i panni da animatore di folle effettuati dal bassista Russel Leetch sono accolti da parte dei presenti certo con simpatia, ma senza troppa convinzione.
Rispetto al precedente tour, dove gli inglesi scontavano la straniante e continua alternanza fra chitarre e synth dovuta alla necessità di variare le canzoni tratte dai primi due album con quelle di “
In This Light And On This Evening”, questa sera gli Editors mettono in scena uno show molto coeso che, con la dovuta eccezione della dissonante “Eat Raw Meat = Blood Drool”, procede come un convinto
unicum. La scelta di andare sempre o quasi a 100 all’ora è portata avanti fino all’estremo, con risultati alternati, ma sempre apprezzabili in quanto a coerenza. Se lo stravolgimento nell’
encore - peraltro già noto - di una “Nothing” che abbandona archi e orpelli per indossare i panni dell’inno risulta più che mai azzeccato, meno lo è quello di “Camera”, che proprio dell’intimità e del fattore emozionale faceva il suo punto di forza. Ma gli Editors ormai sono questo, con annessa cascata di lustrini dorati durante “The Racing Rats” e coriandoli di
coldplayana memoria sparati mentre “Honesty” chiudeva la prima parte di show: prendere o lasciare. E nel complesso, noi prendiamo volentieri questo concerto e ce lo portiamo a casa sulle note dell’esplosiva e trascinante versione “lunga” di “Papillon”, con la convinzione che gli Editors sul palco ci sanno stare ancora alla grande e che lo stadio, in fondo, non è poi così lontano.
(l
a foto è di Going Solo)