02/09/2015

Interpol

Postepay Rock In Roma, Roma


Fra i più acclamati artefici del revival new wave esploso a inizio millennio, i newyorkesi Interpol hanno accumulato cinque dischi in quindici anni, di qualità non sempre eccelsa, ma fra i quali spicca almeno uno dei massimi capolavori della nostra epoca, quel “Turn On The Bright Lights” che li vide esordire nel 2002, consentendo loro di farsi cucire indosso la fama di novelli Joy Division. Questa sera al Postepay Rock In Roma propongono uno spettacolo che ripesca in maniera abbastanza equilibrata da tutti i loro lavori, tralasciando soltanto il poco brillante omonimo album del 2010, una scaletta drasticamente tagliata in corsa rispetto alle altre esibizioni di questo tour, per i presunti problemi fisici del batterista, Sam Fogarino, evento che lascia oltremodo scontenti i fan intervenuti a sostenere la band (ma a far tre o quattro pezzi unplugged senza batteria non ci hanno proprio pensato?).

Chiaro che l'esibizione di un gruppo così importante non possa limitarsi al minimo sindacale di appena settanta minuti, questione di rispetto nei confronti dei paganti, in particolare di coloro che si sono sobbarcati una costosa trasferta; ma va detto che i settanta minuti sono risultati comunque intensi, pregni dei ben risaputi ingredienti miscelati della formazione capitanata da Paul Banks, fautori di una darkwave legata al passato ma ben radicata nella contemporaneità, riflessiva ma al contempo trascinante e a tratti ballabile. L’imperioso attacco smithsiano dell’iniziale “Say Hello To The Angels” mette subito le carte in chiaro, facendo capire che si fa sul serio, e nell’alternanza fra pezzi vecchi e nuovi non sfigurano affatto quelli ripresi dal recente “El Pintor”.

Ma sono i ripescaggi dal passato a far sussultare la platea, dalla vivace "Narc" (da “Antics”) alla superba "PDA", estratta dal capolavoro “Bright Lights”, che chiude la prima parte dello show. Nel mezzo vanno segnalate l’intensissima “Pioneer To The Falls” (dal sottovalutato "Our Love To Admire"), la frenetica “Slow Hands” e soprattutto il masterpiece “The New”, vetta assoluta della serata con i suoi cambi repentini che la fanno essere una sorta di mini-suite capace di alternare nel giro di pochi minuti momenti delicatissimi e chitarre che lambiscono il noise.

Poi la resa incondizionata della band, che concede come bis la sola dimessa “Leif Erikson”, sacrificando veri pezzi da novanta del calibro di “Untitled” e (sigh!) “Obstacle 1”, da tutti attesa con trepidazione. Nulla da aggiungere, se non che la serata è stata aperta in maniera convincente e sicura dai romani About Wayne, quintetto alt-rock efficace con due album all'attivo. Questa sera si son tolti una gran bella soddisfazione.