Per la prima volta dal vivo a Roma una delle massime espressioni della nuova scena nu-psych mondiale, in tour per promuovere il disco che rappresenta una piccola rivoluzione all’interno del percorso artistico della formazione australiana.
Sì, perché dopo due ottimi album di modernariato psichedelico, i Tame Impala hanno dato alle stampe un lavoro che volge lo sguardo al funk-soul degli anni 70, una svolta fortemente electro, che lascia le chitarre in secondo piano e richiama sforzi già compiuti in tempi recenti (ad esempio) anche dagli Arcade Fire, visti al Postepay Rock In Roma giusto poco più di un anno fa.
Ma mentre i canadesi arrivarono a trasformare il palco, rendendolo una megadiscoteca a cielo aperto con tanto di lustrini e paillettes, i Tame Impala traggono appena cinque tracce dal nuovo “Currents”, lasciando che l’essenza fondamentale dello show resti saldamente ancorata all’immaginario hippy dei primi due dischi.
Così facendo Kevin Parker conferma sia quanto “Currents” possa essere giudicato più che altro un divertissement occasionale (ma questo sarà solo il tempo a dirlo in maniera definitiva), sia quanto possa essere letta in maniera forte l’intenzione di appropriarsi del ruolo di nuovo menestrello di certo pop psichedelico contemporaneo.
L’apertura è affidata all’amico ed ex-compagno di formazione (nonché voce dei Pond) Nicholas Allbrook, il quale si esibisce da solo, voce, chitarra ed effetti, presentando il proprio disco solista “Ganough, Wallis And Fatuna” (2014), un mix di cosmic-rock, pop trasognato, squarci proto-punk e rumorismi assortiti.
Un set coraggioso, con i musicisti della band principale a sostenerlo a bordo palco, dimostrazione di quanto il collettivo Tame Impala possa essere considerato una sorta di comune nella quale regna un’organizzazione imperniata sul reciproco sostegno.
Il tempo del cambio palco ed ecco i Tame Impala partire decisi con l’acclamato instant classic del nuovo disco, “Let It Happen”. C’è la curiosità di verificare quanto le tracce più recenti siano in grado di saldarsi con i brani storici: ebbene, “The Moment”, “Eventually”, “’Cause I’m A Man” e soprattutto la funkeggiante “The Less I Know The Better” si accostano in maniera del tutto naturale al resto della setlist, senza che si possa scorgere alcuna forzatura.
Il problema semmai risiede nella qualità del materiale proposto, e infatti sono i brani di “Innerspeaker” e “Lonerism” a catalizzare l’attenzione, in particolare “Elephant” e “Apocalypse Dreams”, due vere colonne portanti nella discografia del gruppo.
Il quintetto si muove compatto alle spalle di Parker, chitarra elettrica a tracolla e piedi scalzi, come suo solito, e alcuni cambi di formazione rispetto alle precedenti uscite non mutano la sostanza del suono.
Poco meno di un’ora e mezza di show, brioso e colorato, compresi i due acclamati bis “Feels Like We Only Go Backwards” e “Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control”, quanto basta per confermare i Tame Impala come la realtà musicale che oggi meglio di ogni altra si dimostra in grado di sdoganare l’acida psichedelia degli anni 60 presso il pubblico più giovane.
Un’attualizzazione personale ed efficace, resa possibile attraverso una radice inequivocabilmente pop, unita alla spensieratezza di musicisti che cercano di divertire divertendosi, alla faccia di tanti cervellotici indie-rocker dalle faccine imbronciate.
Intro
Let It Happen
Mind Mischief
Sestri Levante
Why Won’t They Talk To Me
The Moment
It Is Not Meant To be
Elephant
The Less I Know The Better
Eventually
Why Won’t You Make Up Your Mind
Oscilly
‘Cause I’m A Man
Alter Ego
Apocalypse Dreams
…. ….
Feels Like We Only Go Backwards
Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control