03/02/2018

Nothing But Thieves

Largo Venue, Roma


A soli due anni e mezzo dalla prima apparizione sul suolo italico, quando furono chiamati per il ruolo di gruppo spalla nel kolossal show dei Muse, tornano per la terza volta nella capitale i Nothing But Thieves, forti di due album che ne hanno via via incrementato la fanbase.
Sold out annunciato da giorni al Largo Venue di Via Prenestina per accogliere questi nuovi protagonisti della scena musicale inglese, anticipati sul palco da Xcerts e Airways, le due formazioni prescelte per riscaldare l’ambiente: inglesi i primi, scozzesi i secondi, giovani in erba con qualche inevitabile ingenuità e la spensieratezza di chi vuol godersi il momento approfittando della vetrina a disposizione.

Le due guest band si esibiscono a locale già pieno, senza lasciare troppe tracce del proprio passaggio, al contrario di quanto seppero fare i Nothing But Thieves quando stupirono la platea del Rock In Roma pre-Muse da perfetti sconosciuti, senza avere neppure pubblicato il primo album: la sensazione fu quella di essere al cospetto di una vera next big thing, un quintetto che catturò l’attenzione, dimostrando persino di saper omaggiare l’intoccabile, e in quel caso si trattò di “Immigrant Song”.
Rivedendoli oggi, si perde qualcosa a livello di effetto sorpresa, e la percentuale di patina “pop” risulta senz’altro in crescita, ma i ragazzi sanno come scrivere una hit, sanno come essere dannatamente efficaci, e il pubblico li adora, resta in estasi per un’ora e mezza, con la band che si gioca subito le carte giuste, facendo saltare in aria la sala già al secondo pezzo, la trascinante “Live Like Animals”, davvero un perfetto riempipista.

La formula prevede l’alternanza di brani elettricamente sostenuti (l’iniziale “I’m Not Made By Design”, il tritasassi “I Was Just A Kid”), intriganti midtempo (“Wake Up Call”, “Trip Switch”) e qualche ballad più delicata (“Graveyard Whistling”, “If I Get High”). Conor Mason, il biondo cantante, è il grande protagonista della serata, con quella voce che tende continuamente ad arrampicarsi da qualche parte fra Buckley, Yorke e Bellamy, muovendosi con naturalezza sia su registri grintosi (“Number 13”) sia su sentieri più carezzevoli (“Hell, Yeah”).
La sua presenza è così preponderante che il resto della compagnia passa quasi inosservata, pressoché anonima, senza riuscire a far qualcosa per essere ricordata, senza mai stupire il pubblico con slanci o particolari colpi di scena. Buoni musicisti che con il tempo e l’esperienza riusciranno magari a modellare una personalità più nitida, affrancandosi dagli evidenti - e a tratti ingombranti - riferimenti.

Ci ricorderemo invece delle canzoni, pop con sopra una spolverata di piglio alternative che non le priva dello sdoganamento presso il mainstream (il confine è sempre più labile, ma questo è un altro discorso, che non vogliamo aprire qui). Nella parte finale del concerto – come previsto - arrivano le tracce più attese: l’oramai celeberrima “Sorry”, il loro brano più noto, una “Ban All The Music” resa ancor più micidiale dalla presenza di due ragazzi del pubblico trasformati per tre minuti in musicisti aggiunti, i bis dedicati alla doppietta “Particles”/“Amsterdam”, che suggella una performance un po’ troppo “perfettina”, anche se energetica e inappuntabile.
La sera successiva saranno a Bologna, tappa conclusiva in questa tranche europea. Il tour a supporto di “Broken Machine” proseguirà in Nord America per oltre un mese, per poi ritornare nel Vecchio Continente, perché il ferro va battuto fin quando è caldo. Anche se la capacità dei Nothing But Thieves di produrre buone canzoni, melodicamente efficaci, lascia presumere che non saranno una meteora: con molta probabilità torneremo spesso a parlare di loro…