29/11/2021

Anna Von Hausswolff

Basilica di Santa Maria dei Servi, Bologna


Ogni pensiero vola

Lo ammettiamo. Troppo facile. E’ di un comodità sfacciata riprendere il titolo dell’ultima fatica di Anna von Hausswolff per descrivere ciò a cui abbiamo assistito in questo freddo lunedì sera bolognese. Tuttavia non è una citazione a caso, perché le nostre menti hanno davvero volteggiato libere, sopra le nostre teste, nell’epico e insolito palcoscenico della Basilica di Santa Maria dei Servi, mosse da un rituale fatto di tinte fosche e risonanze ferali.

Alle 20.30 in punto, Anna da Göteborg fa il suo ingresso insieme ai fidi compari Joel e Gian(luca?), i cui nomi vengono traditi dallo spartito lasciato in pasto ai curiosi a fine spettacolo, incustodito sul mastodontico organo a canne Tamburini opus 544.
I tre musicisti spariscono subito tra le colonne del braccio sinistro del transetto, loro e lo strumento principe della serata. L’impostazione visiva è minimal a dir poco: il solo altare, possente, avvolto in luci rosso sangue che si espandono fino alle volte. Ben poche le variazioni sul tema, giusto qualche occasionale e flemmatico gioco di luci per accompagnare gli stati emotivi della serata.

Tutto questo occultamento non è altro che un cortese invito di Anna a seguirla nel suo viaggio intrapreso con “All Thoughts Fly”, senza distrazioni ed effetti speciali, unici protagonisti i massicci riverberi delle canne dell’organo. Cupe, gravi, a tratti roboanti. Donano una dimensione nuova e liberano tutta la potenza cristallizzata nel platter promosso dal tour della musicista svedese. Il profondo silenzio in sala è chiaro testimone di questo momento di raccoglimento, di stordita partecipazione.
Purtroppo non tutti colgono il vero spirito di ciò a cui stiamo assistendo, avviando un poco discreto pellegrinaggio tra i posti nelle panche e la navata laterale da dove è possibile scorgere i tre prodi musicisti, seguiti dal morboso bisogno di vedere con i propri occhi gli autori di tanta magnificenza. Peccato per loro, noi preferiamo chiuderli quegli occhi per perderci nei rimbombi delle note gravi fino ad assuefarci, abbandonandoci all’ipnosi di crescendi ed esperimenti al mixer che giocano con gli effetti spaziali e con l’acustica perfetta del luogo di culto.

Tutta questa meraviglia dura prevedibilmente poco. Il solo “All Thoughts Fly” copre solo 45 minuti di esecuzione. Non vengono concessi bis. Non ci sono grandi classici da giocarsi come assi nel finale della partita. Una scelta che può scontentare, ma dopo un viaggio simile, così coerente e giocato su equilibri fragili, siamo certi che invece di uscire ancora ammaliati e intorpiditi avremmo piuttosto accolto con piacere - per avventurarci in un’ipotesi qualsiasi - un curioso riarrangiamento di quel pur capolavoro che è “Ugly And Vengeful”?

La svedesina con la passione per il nero ringrazia commossa e si concede all’affetto della folla nel finale. “One of the best concert experiences of my life”, dichiarerà qualche giorno dopo.
Non fatichiamo a crederci, Anna.

(Michele Bordi)


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Gotico a canne

Un prisma acusmatico rosso sangue. Una sagoma laterale che divora il centro.
Il fischio di un treno in una foresta trasparente. Loculi scoperchiati e coltellate fendibudella. Grandeur splatter di pale d’elica. L’ultimo desiderio di un dirigibile sgonfio.

Dungeon synth versione steampunk. Onde d’aria morta. Un placido annegare. Rumore bianco di risacca cadaverica.
Lupi affamati dopo la sirena antiaerea. Cluster satanici effetto motosega. Tentacoli di kraken a profondità bordoniche. Clacson di camion gotici al tramonto.
Grancassa ventosa su nastro sbiadito. Corni norreni e sviolinate nella carne. Possanza wagneriana di cornamuse al chorus. Carta di diario consumata da un fuoco stanco.

Coro di castrati in estasi. Marea sepolcrale stazionaria. Interferenze sul tomento amniotico. Tutto dannatamente sacro.
Tintinnante furore minimalista. Fiammelle di candele tremolanti. Prove di brass band dalla cripta. Un altissimo dissonare in bending.
Vocalizzo d’amazzone gravida. Il suo feto urlante dovremo portarcelo a casa.

(Ossydiana Speri)

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