11/05/2022

Black Midi

Santeria Toscana, Milano


Balletti assurdi, sfilate improvvisate, stacchetti musicali improbabili, cavalcate dal sapore epico e soprattutto un tornado sonoro di quelli che tanto ci erano mancati negli ultimi anni.
Potrei fermarmi qui a scrivere del concerto milanese dei Black Midi perché un cabaret del genere non è facilmente descrivibile, soprattutto se il taccuino per gli appunti annovera soltanto la scritta “Black Midi Live Milano”, e dopo tutto chi sarebbe riuscito a scrivere qualcosa nella fantastica bolgia che gli inglesi scatenano fin dalle prime schegge impazzite di “953”.
“Milano, Italy, what a fucking nice place”, canta Geordie Greep con fare sornione in uno dei pochi momenti di pausa concessi dal pezzo estratto da “Schlagenheim”, che arriva subito dopo l’ingresso in pompa magna del gruppo sulle note di “Popoli di Pekino!” intonata da Pavarotti.
Le concessioni in scaletta al materiale del noiseggiante esordio saranno poche e limitate all’inizio dello show, con la doppietta iniziale completata da “Speedway”.
 
Partenza frenetica, dunque, con un poker di canzoni selvagge che affianca alle due del primo Lp il singolo pubblicato solo pochi giorni fa, “Welcome To Hell”, apripista del terzo lavoro in studio che vedrà la luce questo luglio. Proprio da questo inedito disco (si presume) sono scelti molti dei pezzi presentati dai londinesi, come “Sugar/Tzu” altro concentrato di riff sbilenchi al fulmicotone che gli appassionati del combo già avranno potuto gustare attraverso vari video live.
Si vede chiaramente quanto il pubblico avesse disperato bisogno di tornare alla dimensione dei concerti dal vivo, in questa quaterna infatti non ci si risparmia minimamente dando vita a un pogo altamente liberatorio, mentre sul palco i cinque ragazzi si divertono a imbastire piccole coreografie saltellanti e polke estemporanee.
 
Una breve parentesi pianistica ci porta nella foresta pluviale e dà il tempo ai nostri di riassestare gli strumenti prima di “Despair”, lato B del singolo che anticipava l’acclamato sophomoreCavalcade”, una chicca che rallenta per la prima volta il ritmo, fortunatamente per la salute dei presenti vien da dire, che, disabituati ai concerti, si ritrovano dopo l’incendiario inizio già col fiatone (il sottoscritto compreso).
Servirà allenamento per tornare agli standard di resistenza live pre-pandemici, ma per il momento ci si gode la voce da crooner scafato di Greep che, nascosto dietro a un paio di occhiali da sole evidentemente immuni alla gravità, dimostra anche di saper emozionare in modo più romantico e delicato.

Dopo il simpatico siparietto di “Habanera”, con il pubblico che canta al seguito del sax, trova spazio una sezione acustica guidata dal bassista Cameron Picton, che, uscendo direttamente da una novella di Cervantes, imbraccia la chitarra prima per raccontarci l’amore stralunato di “Still”, poi per la cover di “Love Story” di Taylor Swift, recentemente pubblicata nell’Ep divertissementCavalcovers”, e infine per il flamenco turbato di “Eat Man Eat”.
I ritmi si rialzano decisamente con la doppietta “Chondromalacia Patella”-“John L”, zenith del concerto che porta l’elettricità alle stelle ma senza mai prendersi troppo sul serio, come dimostra la piccola sfilata di pose statuarie imbastita dal sassofonista Kaidi Akinnibi durante la prima e il divertente snippet che spezza per un momento l’invettiva della seconda.
“The Defence” è un’elegante e sentita ballata guidata dal piano che fa da preludio a “Slow”, altro pezzo da novanta che chiude le danze con l’ennesima scarica di energia.
 
Sono soggetti imprevedibili, questi Black Midi, sembrano provenire ognuno da una serie comedy differente, sono burleschi, incoscienti, a volte un po’ distratti quando la grande libertà di improvvisazione si porta in parte via le canzoni, ma dopotutto come può il batterista Morgan Simpson ricordarsi sempre a che punto siamo con tutta la foga che riversa sulle pelli?
Alla fine siamo tutti stremati e divertiti, si è tornato a ballare e nel modo migliore. Se proprio si vuol fare un piccolo appunto, ci si aspetta forse una durata più lunga da un gruppo così giovane, ma ne vale veramente la pena.