11/06/2022

The Weather Station

Parc del Fòrum, Barcellona


"I know that festivals go like this, but it's hard anyway". Mettetevi nei panni di Tamara: un set di tormentata delicatezza come il suo è già di per sé a costante rischio intemperie; contrapporgli ad appena un palco di distanza uno scalmanato "dance party" (definizione fin troppo garbata della Nostra) non è stato granché premuroso da parte degli organizzatori. L'oceano può ispirare pace incontrastata o profonda inquietudine, e qua se ne fronteggiano ben due: il silente spettatore disteso davanti al Plenitude (proiettato a mo' di riflesso anche sul telo alle spalle dei musicisti) e l'incantevole vestito che la meteorologa ha indossato per non sfigurare, come ammette lei stessa. Beh, allora te la sei cercata. Chi la spunterà?
 
"Let's do this thing". Massì, proviamoci lo stesso: voi a non distrarvi, noi a non farci distrarre. È subito lampante chi avrà il compito più facile: non c'è cassa dritta che tenga al cospetto del sinuoso soul di "Wear", con i suoi carezzevoli tocchi di wurlitzer, il suo crescendo che non cresce e il suo laconico finale, dissolto nelle uterine nuance quasi psichedeliche di "Loss". E se la frontwoman eclissa il sole che inizia a tramontare, sarebbe ingeneroso disconoscere la natura felicemente plurale della band, che dietro un colpo d'occhio dimesso colora di freschezza avant-roots il songwriting postmoderno della problematica canadese. Una formula miracolosa, scolpita in una ballata lindemaniana al 100% come "Separated", a cui fa da speculare contrappunto il galoppo di "Thirty", biglietto da visita della scavalcata identità folkeggiante, in cui non a caso torna a imbracciare la chitarra dopo aver posato i due squillanti legnetti della tappa precedente.

Gli umori frantumati di "Look" fotografano l'adorabile fragilità dell'autrice quanto dell'interprete, sempre più a disagio nel poco confortevole contesto ma comunque determinata a ricompensare l'affetto di un pubblico che, sin dallo sbrigativo soundcheck pre-esibizione, le sta tenendo la mano con umana dolcezza. "We’ll do our best", ci assicura e non ne dubitiamo: basti a provarlo l'infinita lucentezza di "Tried To Tell You", il più bel brano del più bel disco dell'anno scorso, una lezione di perfezione da ammutolire, con quel ponte in falsetto che ogni volta ripropone la pelle d'oca.
"I don't have the heart to conceal my love/ When I know it is the best of me", ci confessa in "Heart", e ancora una volta non c'è ragione per non crederle, tanto è il trasporto infuso in questi pochi intensi minuti, pur sprintati da un asettico motorik.

Poi Tamara si siede al piano ed è una raffica di perle dalla prima, indimenticabile facciata del supremo "Ignorance": la destrutturata "Robber", la più alta espressione della canzone di protesta anti-Trump, con un lancinante solo di violino; la spaesata "Atlantic", in cui la voce aumenta il tasso di sussurri proprio mentre l'accompagnamento si inspessisce, come in una doverosa caccia al tesoro; la melodrammatica "Parking Lot", che chiunque avrebbe reso stucchevole. Chiunque, a parte un angelo che scioglie un ghiacciaio dell'Ontario a ogni nota che scandisce.
Pochi potrebbero vantare munizioni dopo un simile medley, ma Tamara ha "Subdivisions" e sono di nuovo bollenti lacrime a grondare nello struggente singalong del ritornello, spezzandone l'incedere rassegnato con un'esplosione di vita e di amore. Un po' una metafora di questo incredibile concerto.

Stremata ma sorridente, si ritira dopo aver eroicamente mantenuto la promessa. C'è da portare parecchia riconoscenza a chi non tradisce la parola data nel bel mezzo di un attacco di panico. Rare volte ho constatato altrettanta stoica tenacia da una parte e complice sostegno dall'altra. Non me ne vogliano gli stakanov che presidiano il prato dell'Estrella, ma il set più epico del festival è stato questo qua. Di sicuro quello che mi porterò dentro per più tempo e con più gratitudine.
Nota a margine: nessun brano in scaletta da "How Is It That I Should Look At The Stars". Perché l'occasione non era consona, ma anche per coerenza con il curioso paradosso di questa edizione (essendo stato fissato l'estate scorsa, il cartellone esibisce i nomi caldi del 2021 anziché dell'anno in corso). Anche questo vuol dire saper stare al gioco. E vincere la partita.
Tremino i rave-Golia catalani di fronte a una bionda vestita d'oceano. Suonala ancora, Tamara.