Secondo lo scioglilingua hegeliano, la filosofia sarebbe l'attività che si pone di fronte a sé a fin di esser per sé, e in quest'altro da sé giungere soltanto a sé. Se vi risulta pletorica, indigesta, insignificante una simile definizione - anche per le sue martellanti ripetizioni: le stesse cose si potrebbero dire in modo molto più piano e civile - allora vi risulterà sovraccarico, indigesto, insignificante "You're Living All Over Me".
Al pari di questa frase, "You're Living All Over Me" dei Dinosaur Jr. ha bisogno, per non risultare un sovraccarico, di avere una pesa proporzionata. E per non risultare indigesto, di venir assimilato o da stomaci forti oppure a porzioni morigerate. E per non gettare nell'insignificanza necessita, in ultimo, l'accettazione del fatto che anche il fine a se stesso può essere un significato - se non, per quanto riguarda universo e vita, il significato.
Non ci credete? Provate a gestire altrimenti le 10 tracce di "You're Living All Over Me"; a venirne, come si dice, a capo; a trovar loro un capo e una coda; una qualche soluzione di continuità; a distinguervi qualche cosa, all'interno della stessa traccia e fra una traccia e l'altra. Provate a catalogare - o a entusiasmarvi per - "Little Fury Things", la traccia d'apertura che solo dopo decine d'ascolti potrà forse risultarvi gloriosa, senza, consapevolmente o meno, eseguire qualche fase del processo che ho indicato e cercato di formalizzare.
È per questo, allora, che "You're Living All Over Me" - per tutto l'inquadramento concettuale che richiede e per il suo non dar nulla, in termini d'emozione o appagamento, senza di questo - va considerato uno dei lavori più avanguardistici del rock. Rock che coglie in pieno coi tre strumenti tre - e avanguardia che esprime in un noise fiaccato ed esacerbato da una voce e da una sezione ritmica mai catartiche, mai squadrate, mai in pausa e che perciò non danno il benché minimo respiro e affaticano e impediscono anch'esse la ripartizione del magma. Magma che poi ha una scaturigine tutta intima; strabocchevolmente intima. È proprio un petto sventrato d'adolescente che vomita lave di trasognamento, incomprensione e stordimento. È "Kracked". E siamo alla seconda traccia; dove le chitarre di Mascis squarciano squarciandosi; dove è provato che sono queste, sole, a stabilire la condizione meteorologica di tutto il soffocato - ma saporoso - mondo di "You're Living All Over Me".
"Sludgefeast" è allora sciocco incorniciarla fra Melvins e Meat Puppets: questa è musica che non ricerca riferimenti ma che, ripetiamo, vuole e riesce a bastare a se stessa e il lamento di Mascis non sta per alcun fallimento, né espressivo né esistenziale. È bensì un lamento reificato. È il tentativo di render cosa e oggetto uno stato d'animo soggettivo che così diviene, nella metamorfosi, mostruoso - e avvilente per l'ascoltatore che non riesce a fare altrettanto. "The Lung" freme di vortici, di cambiamenti di tempo e di stratificazioni chitarristiche. A intervalli qualche riff scansa l'informe per ridursi ai minimi termini d'un'equorea melodia, subito sbranata da coacervi noise. Il canto: inutile saper l'inglese perché inutile saper che dice; non dice, canta; anzi, nenia; funge da strumentazione atmosferica.
"Raisans" - ma lo stesso andrebbe sostenuto degl'altri brani, che son l'uno la variazione sul tema dell'altro dove il tema però è qualcosa del genere dell'amorfo onirico - si autocensura e non costituisce, rinnegandolo per troppa astrazione e impervia, il prototipo di quel piano-forte-piano grunge che si avrà solo dal diluire iper-semplificante di concentrati ultra-proteici: idee a getto continuo che fanno a gara nel superarsi l'un l'altra. Come in questo brano, che in tre minuti squaderna ciò che enciclopedie progressive non riescono a fare.
Finora in "You're Living All Over Me" non un secondo sprecato, non un secondo di troppo; nessuna autoindulgenza, ma tanta tanta onestà, unita strettamente a una qualità eguagliabile ma non superabile nel rock. L'eguaglieranno, simili onestà e qualità, quei massimi esempi del rock costituiti da Fugazi e Shellac in album che filtreranno, al ralenti d'una riflessione più matura, il flusso cinetico e senza riserve di "You're Living All Over Me".
"Tarpit" dà l'abbrivio alla seconda parte dell'album. Ed è una mezza delusione. Deposto in parte l'integerrimo avanguardismo delle cinque tracce d'apertura, i tempi si dilatano, la melodia affiora e se ne distingue esplicito lo stato di sconforto, redento solo da una bellezza vagheggiata.
"In A Jar" pone intelligentemente sul piano del gioco - è un ritmo da gioco il suo - quanto espresso apocalitticamente nelle cinque impeccabili tracce d'apertura. Poi, in una progressione sempre più brutale, anche questo episodio sfocia in ferocia. La ferocia d'un felino. Per artigli tutti mentali.
"Lose" ubriaca di riff madornali prima di scudisciarsi in un corale rabbioso che potrebbe costituire l'effettivo termine d'un album che annovera ancora i borborigmi un po' inutili di "Poledo" e le rivendicazioni naif di "Show Me The Way" che, giusta nell'economia del disco, per rappacificare gli animi e dar respiro umano, è nondimeno responsabile di consegnare un gratuito senso di stupido.
29/05/2011