Poi è arrivata una generazione di adolescenti stanchi che volevano il furore del punk senza la zavorra da accademia d'arte della new wave. Erano stati gettati i semi dell'hardcore
(Steven Blush, American Punk Hardcore)
In principio, sul finire degli anni Sessanta, era Detroit col rock'n'roll selvaggio, violento e grezzo di Stooges ed MC5; poi, verso la metà dei Settanta, toccò a New York con la sua accolta di travestiti cocainomani (New York Dolls), di reietti (Richard Hell), di ribelli senza causa (Ramones). Ciò che fu seminato nel nuovo continente darà i suoi frutti più marci (quindi più buoni) in Gran Bretagna, nel 1977: Sex Pistols, Damned, Clash, Stiff Little Fingers. Anarchia, rivoluzione, incendio, dannazione; in una parola: punk!
Infine, da Los Angeles, arrivarono i Germs, l'ultimo grande gruppo punk e il primo vero gruppo hardcore allo stesso tempo. Durarono lo spazio, breve ma intenso, di "(GI)" e poi scomparvero, ma con la loro musica potente, veloce, oscura e drammatica infettarono, loro che avevano scelto quel nome così emblematico, gran parte dei giovani punk americani, che diventeranno i futuri kid hardcore. Certo, senza questo disco probabilmente sarebbero esistiti lo stesso i Dead Kennedys, i Black Flag, i Minor Threat, i Bad Brains e tante altre band americane degli anni Ottanta, ma è altrettanto certo che senza "(GI)" l'hardcore non sarebbe stato lo stesso. Inoltre, la loro influenza si estende anche ad altre scene del sottosuolo americano degli anni Ottanta: dal noise al grunge, dai Sonic Youth ai Melvins, dai Big Black ai Jesus Lizard, dai Mudhoney ai Nirvana. E forse c'è un filo nero, nerissimo, che lega l'urlo di Darby Crash a quello di Kurt Cobain in un unico destino tragico.
I Germs ripulirono il punk di quell'aura intellettuale e artistoide che i gruppi new wave gli avevano conferito, gettando le basi dell'hardcore. Nel loro caso si trattava davvero di pessimi musicisti, in perfetto stile punk. Non erano i colti frequentatori di accademie d'arte affascinati dalle possibilità espressive del punk; erano tutt'altro. Insomma, i Germs tornarono ai Sex Pistols, ai Ramones, agli MC5 ma con rabbia centuplicata, con violenza inaudita e con un nichilismo esasperato, perfettamente incarnato dalla figura del cantante Darby Crash, che non lasciava spazio all'ironia, al sarcasmo, allo sberleffo dadaista che invece aveva permesso a Johnny Rotten di restare ancora vivo.
Se Rotten si era proclamato un anticristo per spazzare via i valori della puritana società inglese, Crash era l'antiuomo che voleva cancellare solo se stesso. E ci riuscirà, suicidandosi con una overdose fatale a soli ventidue anni. Infatti, qualsiasi ansia di rivalsa sociale, di sovversione politica o cambiamento culturale era estranea ai Germs. Per questo, nonostante la potenza sonora e la velocità ritmica, il punk dei Germs è implosivo, non esplosivo. Non è liberazione, sfogo o esorcismo; al contrario è caduta nel vuoto del solipsismo, nel buio dell'autismo, nel nero dell'alienazione, nell'abulia che conduce all'autodistruzione. È dramma psicologico che prende carne, tragedia umana in forma d'arte. Come Michelangelo. Come Francis Bacon.
Proprio guardando un'esibizione televisiva dei Sex Pistols, Crash aveva capito quale sarebbe stata la sua strada. I suoi compagni di avventure furono il chitarrista Pat Smear, la bassista Lorena Doom e il batterista Don Bolles. Ovvero: una chitarra cacofonica, un basso potente e lugubre e una batteria veloce fino alla devastazione. Su tutto si stagliava la voce di Crash, archetipo del canto hardcore, che in realtà non è canto: è grido disperato, vagito mostruoso, abbaio randagio, ruggito ultimo.
"Germs Incognito", è questo il significato del criptico titolo di quest'album, perché i Germs erano stati banditi da quasi tutti i locali di Los Angeles a causa delle loro esibizioni sconclusionate e imbarazzanti anche per gli stessi punk, con un Crash stonato fino all'inverosimile che, spesso ubriaco e drogato, si dimenava a vuoto sul palco mentre il resto della band andava fuori tempo. Non a caso le cronache dell'epoca descrivono i loro concerti come poco frequentati. Ma chi c'era racconta di performance comunque leggendarie (per inciso, chi c'era si chiamava Mike Watt o Dez Cadena).
"(GI)", prodotto da Joan Jett delle Runaways, si compone di sedici brani micidiali, minimali e spesso brevissimi. Per tutti si possono citare "Communist Eye", "Land Of Treason" e "Strange Notes" che mettono subito in chiaro cosa sia l'hardcore: urla sovrumane, chitarre sferraglianti, basso oscuro (si potrebbe definirlo dark) e batteria spasmodica, epilettica, progressiva. I brani cardine del disco sono però altri: a partire dalla cantilena infernale di "Lexicon Devil" e proseguendo per la cavalcata al fulmicotone di "Manimal", si arriva all'agghiacciante "We Must Bleed". È L'urlo di Munch che esce dalla tela, è un olocausto interiore condensatosi nel grido di un ragazzo di vent'anni, è la consapevolezza dell'ineluttabilità della sofferenza. "We Must Bleed", "Dobbiamo sanguinare": una condanna, una costrizione o forse, semplicemente, la condizione dell'esistenza umana. Addirittura si narra che negli anni Ottanta alcuni fan della band lo portassero scritto dietro ai giubbotti di pelle che abitualmente indossavano.
L'apice dell'espressionismo dei Germs è però la conclusiva "Shut Down" (Annihilation Man)": dieci minuti scarsi di disperato naufragio nel nulla. Le pulsazioni lugubri del basso e il tambureggiare selvaggio della batteria allestiscono la scenografia noir per l'entrata in scena di Darby Crash. La sua è una performance vocale aberrante, sottolineata dalla chitarra di Pat Smear, il quale, unica volta nel disco, elargisce concrezioni dissonanti sotto forma di assoli. "Shut Down" è l'unico brano di "(GI)" registrato in presa diretta. In effetti, si tratta di una jam session punk, putrida e fetida, con tanto di pianoforte scordato (suonato da Donnie Rose). Ma c'è anche un pezzo cantabile, per quanto possa esserlo un pezzo dei Germs: è "The Other Newest One", pervaso da una vena epica sottile, quasi impalpabile, come se un inno punk degli Adverts fosse stato svuotato della propria carica vitale.
Friedrich Nietzsche ha scritto: "Se guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarderà te". La musica dei Germs è quell'abisso e se non avete le palle di guardarlo (di ascoltarlo, in questo caso), allora state alla larga da questo disco.
12/11/2010