I Led Zeppelin probabilmente passeranno alla storia per un singolare primato, difficilmente uguagliabile: contribuire in modo massiccio all'evoluzione della musica rock non inventandosi quasi nulla, ma, anzi, scopiazzando a destra e a manca, attingendo a piene mani dal repertorio blues e rock-blues degli anni 50 e 60 prima, e dal folk e dalla musica orientale poi. Uno dei più vistosi paradossi della storia del rock, ma tant'è.
Nel 1969 esce "Led Zeppelin" (nome suggerito alla band dal batterista degli Who, Keith Moon), noto ai più come "Led Zeppelin I", e quanto sopra riportato è subito evidente: la maggior parte dei brani del disco hanno il tipico impianto armonico del blues (nel 1969, a pensarci bene, c'era gente che già aveva superato tale schema: Frank Zappa, Pink Floyd, Jefferson Airplane e via discorrendo, senza dover ricercare gruppi di nicchia, come i Red Crayola) e, in alcuni casi, sono addirittura cover ("I Can't Quit You Baby" di Dixon, "You Shook Me" dello stesso Dixon e Lenoir e la citazione di "The Hunter" all'interno di "How Many More Times") o brani tradizionali riarrangiati, come la straziante ballata "Babe I'm gonna leave you". E, ancora: la celebre "Dazed And Confused", seppur riporti la firma di Page, altro non è che il riadattamento di un brano di Jack Holmes.
Eppure, in questo disco (come nei successivi "II", "III", "IV", assolutamente di pari livello), c'è qualcosa di grande, di nuovo. Ognuno dei quattro dà qualcosa che crea un sound completamente fresco, che lascerà segni indelebili nel futuro del rock 'n roll, anche se, come si è rimarcato sopra, i brani contenuti nell'album de quo, in realtà, non presentano apparentemente alcuna novità di rilievo. Ed è proprio questa la grandezza degli Zeppelin, che sono stati capaci di arrivare dove altri gruppi britannici prima di loro avevano solo tentato di arrivare (come gli Yardbirds - in cui militò Page stesso - i Cream, il Jeff Beck Group - con cui collaborò John Paul Jones - i Kinks).
I Led Zeppelin hanno saputo creare un suono unico, fondamentale, semplicemente vestendo con dei panni nuovi una musica che ormai cominciava a diventare vecchia. Una rivoluzione formale, basata in gran parte sul sound, talmente massiccia, però, da travolgere anche la sostanza, tanto da dare il la a buona parte dell'hard rock sviluppatosi negli anni a venire, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove è ancora ben visibile lo spettro del dirigibile su molte band.
E' vero che questo "I" è essenzialmente un disco di rock blues, ma la batteria di John Bonam è un martello senza tregua, è l'antitesi della delicatezza, una delle icone acustiche (mi si passi la sinestesia) più vistose di sempre, la voce di Robert Plant certamente non è da meno, con il suo falsetto grintoso e inimitabile, e che dire dello stile chitarristico di Jimmy Page, uno dei virtuosi della sei corde più fantasiosi ed innovativi di tutti i tempi, con quel suo mood isterico e preciso al tempo stesso, grande sperimentatore delle accordature delle chitarre (è un piccolo gioiello in questo senso "Black mountain side", dalle reminiscenze orientaleggianti) e dei suoni in sala di registrazione (si pensi, ad esempio, all'uso dell'archetto per violino sulla chitarra nella parte centrale, quella più psichedelica, di "Dazed And Confused"), con Jimi Hendrix forse il più influente chitarrista della storia del rock. Un cenno è doveroso anche nei confronti del bassista-tastierista John Paul Jones, figura un po' in ombra rispetto agli altri tre Zeppelin, ma del tutto immeritatamente, visto e considerato che è certamente il più fine conoscitore della teoria musicale e il miglior arrangiatore fra i componenti della band (prima di entrare negli New Yardbirds - i Led Zeppelin "in fieri" - era un richiestissimo session man, ha lavorato anche con i Rolling Stones per la registrazione di alcune tastiere in "Their Satanic Majesties Request"), nonché un ottimo e personalissimo bassista. Uno di quei casi in cui ognuno è perfetto al suo posto, nulla può essere toccato. I Rolling Stones se la sono cavata bene anche senza Brian Jones, i Led Zeppelin non avrebbero potuto esistere senza qualsivoglia dei quattro componenti. Ne è la riprova lo scioglimento immediato della band in seguito alla morte di John Bonham.
Non è solo il blues, comunque, a essere presente nell'album in esame. "Good Times, Bad Times" è una song in stile Yardbirds, di per sé banale, ma resa unica dal sound potente e massiccio del gruppo, in particolare dai tamburi, percossi con grinta quasi tribale da Bonam. Così come, e anzi ancor maggiormente, in "Your Time Is Gonna Come", preceduta da un lungo intro di organo. Una menzione particolare va a "Communication Breakdown", insieme a "Dazed And Confused", probabilmente, il brano più significativo dell'album. Il riff iniziale di chitarra è semplice, sono i soliti tre accordi di matrice blues, ma pone un paletto tra il prima e il dopo. Dopo questo brano nulla sarà più come prima. La velocità di esecuzione e la furia che ci mettono i quattro nel suonarla ne fanno un pezzo unico, una pietra angolare di tutto l'hard-rock, per certi aspetti lo si potrebbe intendere anche come un brano punk ante litteram. Plant urla come un ossesso e raggiunge picchi che difficilmente ripeterà nella sua carriera. Bonam, come al solito, fa gridare le pelli di dolore. E Page suona un assolo al fulmicotone, fa vomitare alla sua chitarra una serie di note a una velocità tale da risultare quasi un pugno nello stomaco.
E' il 1969, e nasce l'hard-rock (o hard-blues che dir si voglia, anche se, a onor del vero, una menzione ai Blue Cheer, che esordirono nel 1968, va fatta), proprio mentre, non molto lontano, esce "Black Sabbath", che spiana la strada all'heavy metal. Di lì a poco uscirà anche "Led Zeppelin II", ma questa è un'altra storia.
01/11/2006