Sebbene gli REM siano soprattutto una band da singoli, capace di sfornare con regolarità una sequenza impressionante di canzoni da ricordare (e magari da collezionare in un'antologia), non è azzardato sostenere che il loro esordio su 33 giri, "Murmur", sia stato uno dei capolavori della storia del pop, ma soprattutto il disco che forse più di ogni altro ha cambiato le coordinate della musica "alternativa" degli anni 80. È proprio con questo lavoro - oggi probabilmente assai più innocuo di quanto potesse apparire all'epoca - che il concetto di "musica alternativa" troverà negli Stati Uniti un formidabile veicolo di diffusione, cominciando a influenzare, di lì a poco, anche la produzione "mainstream".
In un panorama musicale affollato di elettronica patinata, di hard-rock dozzinale e di rigurgiti nostalgico-punkeggianti (sempre enfatici, anche nei casi migliori, come quello degli U2) il gruppo di Athens (Georgia) traccia una sua peculiare via al successo, che imbocca sobri binari acustici, e passa attraverso il recupero di certe sonorità "sixties" (Byrds, Who e Velvet Underground su tutti), combinate con il punk e la new wave (Patti Smith, Wire, Gang Of Four).
Prodotto da una volpe degli studios come Mitch Easter, "Murmur" sfodera una dozzina di ballate senza tempo, praticamente perfette nel dosaggio di ogni ingrediente. Le chitarre arpeggiate e folkeggianti di Peter Buck, il basso corposo di Mike Mills, il forte contrappunto ritmico e la percussione country di Bill Berry, l'aria trasognata e le cantilene stralunate, intonate nel suo tipico registro nasale da Michael Stipe, contribuiscono a creare un impasto di acustica ed elettronica, melodia ed energia, rock rurale americano, psichedelia e punk. Attingendo alle fonti più pure della tradizione americana, al roots-rock e al folk d'annata, gli Rem rigenerano quei suoni, aggiornandoli al tempo del post-punk e del pre-grunge. Austera classicità e desolazione metropolitana si saldano così in un pugno di canzoni tanto in apparenza semplici quanto certosinamente rifinite.
L'iniziale "Radio Free Europe" mette subito in chiaro le cose: chitarre armoniche e linee melodiche semplici e aggraziate tratteggiano una ballata tanto essenziale quanto fascinosa nel suo avvolgere l'ascoltatore in un magico incanto. Vocalizzi dolenti, umori psichedelici e continui cambi di tempo segnano "Pilgrimage", in cui più forte si avverte l'impronta dei maestri Byrds, specie nell'elaborazione delle melodie. Ed è tenerezza struggente quella che sprigiona un brano come "Laughing", con la sua tenue filigrana orientale. Ma il vero colpo da ko del disco è "Talk About The Passion", il brano che diventerà quasi il prototipo della "Rem-song": le chitarre cristalline, il fascino immortale del jingle-jangle, il canto biascicato ma incredibilmente "musicale" di Stipe, gli stacchi di batteria, il battito in levare, le melodie semplici ed eleganti.
Le armonie vocali sono ancora protagoniste sulla scalpitante "Moral Kiosk", folgorata da chitarre dure e sezione ritmica martellante, mentre la lenta "Perfect Circle" poggia su armonie dimesse e minimali, cullate su un elegante piano. A virare verso sonorità più marcatamente country-rock è la successiva "Catapult", introdotta da un poderoso drumming, mentre "Sitting Still" si veste d'una melodia accattivante, di stampo palesemente "pop", impreziosita dal duetto tra la chitarra "riffeggiante" di Peter Buck e l'interpretazione quantomai "sentita" di Stipe.
L'influenza punk, che vena qua e là l'opera degli REM, si avverte più forte in un brano come "9-9", propulso da un ritmo ossessivo, che non lascia scampo. Le voci, sapientemente abbinate al suono folk della chitarra, tornano infine protagoniste nella romantica "Shaking Through", con Stipe ancora sugli scudi. Le restanti "We Walk" e "West Of Fields" sono forse episodi minori del disco, pur racchiudendone tutte le principali influenze.
Le parole delle canzoni sono sempre criptiche e indecifrabili, e fungono più da "suoni" che da filo conduttore di possibili storie. Il tono complessivo, comunque, non è distante da quell'umore apatico e dimesso che pervaderà il repertorio di tante band a venire. "Murmur" è la pietra angolare di tutta la produzione successiva degli REM e di tanto indie-rock che verrà. "Rolling Stone" lo consacra "disco dell'anno", davanti a campioni di vendite come "Thriller" di Michael Jackson e "Synchronicity" dei Police. Per Stipe e compagni è arrivato il momento di smettere i panni di "garage band", di scendere dal camioncino verde "Dodge", modello '75 con cui avevano girato l'America senza un dollaro in tasca: è arrivato - forse inaspettatamente - il successo.
06/11/2006