Eugenio Finardi apparve sul mercato con un 45 giri in inglese intitolato "Spacey Stacey", uscito nel 1973 per la Numero Uno di Battisti e Mogol. Proprio negli studi dell'etichetta conobbe Demetrio Stratos, ex cantante dei Ribelli, che l'anno prima vi aveva a sua volta registrato il singolo "Daddy's Dream". Proprio in quel momento, Stratos era stato coinvolto dal grafico e fotografo Gianni Sassi nella creazione di una casa discografica, la Cramps Records, per dare spazio alle realtà più sperimentali della musica popolare italiana e convince Finardi a seguirlo in quell'avventura.
Il resto avvenne come naturale conseguenza e nel 1975 Finardi pubblicò per l'etichetta il suo album di debutto, "Non gettate alcun oggetto dai finestrini". La Cramps in quel momento aveva soltanto un paio d'anni e il suo nome era legato quasi esclusivamente ai dischi degli Area, la band di Stratos, ma nel giro di poco tempo Finardi sarebbe diventato il nome di punta, grazie a una proposta decisamente più accessibile.
D'altro canto, suonando loro stessi per Finardi, come anche per Alberto Camerini, i musicisti degli Area dimostrarono grande eclettismo, e se gli album che pubblicarono come band non ottennero mai vendite soddisfacenti, il loro contributo risultò fondamentale per l'affermazione dei due cantautori sopraccitati e soprattutto per la creazione un suono tipico immediatamente associabile all'etichetta. Non è insomma casuale che i dischi di Finardi e Camerini pubblicati durante il periodo Cramps suonino così simili, al di là delle voci e delle sensibilità dei rispettivi intestatari.
Il successo arrivò con il secondo album, "Sugo" (1976), il primo disco Cramps a entrare in classifica, arrivando a toccare il numero 17 nella compilazione settimanale di Tv Sorrisi e Canzoni e generando due classici della canzone di protesta, quali "Musica ribelle" e "La radio".
Mentre "Diesel" (1977) viene elaborato, per Finardi sembra concretizzarsi la possibilità di diventare uno dei cantautori più popolari del circuito, benché l'etichetta gli vada ancora oggi stretta: l'artista ha più volte precisato come la sua pretesa fosse quella di muoversi nei territori di Mick Jagger o Rod Stewart, che in Italia erano considerati musicisti rock e non cantautori, per quanto tecnicamente scrivessero i propri brani. Se ha finito con l'essere etichettato come cantautore, è forse perché in seguito la sua proposta si è molto ammorbidita, pur senza mai involgarirsi. Riascoltando i suoi dischi Cramps, nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che li si possa considerare classici sia del cantautorato, sia del rock italiano, senza che una categoria escluda l'altra.
"Diesel" è stato prodotto da Paolo Tofani, chitarrista degli Area, che stava lasciando la band proprio in quel momento, pur continuando a collaborare coi suoi membri nei dischi della Cramps fino alla chiusura dell'etichetta, avvenuta nel 1980. Altri membri degli Area presenti nel disco sono il tastierista Patrizio Fariselli e il bassista Ares Tavolazzi, che suonano rispettivamente in cinque e quattro brani su nove. Il turnista più presente è però il batterista Walter Calloni, uno dei più celebri sessionman dell'epoca, fresco di sessioni con Lucio Battisti, Ivan Graziani e Antonello Venditti, oltre che ovviamente con gli artisti Cramps. Il suo stile funambolico caratterizza fortemente l'album: calcando su un espediente tipico del jazz-rock di quegli anni, Calloni suona alcuni elementi ritmici in netto anticipo rispetto alla scansione che un metronomo indicherebbe, creando così un groove che pare accelerare a ogni battuta, pur mantenendo i Bpm costanti.
La scaletta si apre con "Tutto subito", brano energetico e aggressivo, ma forse non il più originale del lotto, data la sua forte somiglianza allo stile degli Who sin dalla schitarrata introduttiva. Il testo, nella sua semplicità, è sottilmente ambiguo: "Sono stanco di subire, e sono stanco di aspettare, tutto subito voglio avere, e tutto subito mi devi dare, no non resisto, non ascolto più promesse".
Nel corso degli anni è stato interpretato in vari modi, anche contrastanti: c'è chi sostiene che fosse un caricatura dei movimenti di protesta dell'epoca e chi invece che volesse sostenerli e omaggiarli. Vista la formazione culturale di Finardi, apertamente di sinistra, viene comunque più spontaneo considerare valida la seconda opzione.
Coerentemente, "Scuola" è un'accusa al sistema educativo, impostato su un impianto nozionistico che non stimola lo spirito critico e da cui a tutt'oggi l'Italia non sa distaccarsi: "Perché l'unica cosa che la scuola dovrebbe fare, è insegnare a imparare. Io per mia fortuna me ne son sempre fregato, non facevo i compiti, non ho quasi mai studiato, ma ascoltavo dischi, mi tenevo informato, cercavo di capire e adesso me la so cavare". Sono versi che potrebbero apparire populisti, ma vanno contestualizzati in un'epoca di grandi mutazioni sociali, l'ultima stagione di impegno sociopolitico che attraversò l'Italia prima del riflusso nel privato e dell'annesso degrado culturale che avrebbe caratterizzato gli anni Ottanta. Il brano è un midtempo con andamento rhythm and blues e arrangiamenti jazz-rock, propulso da una sezione d'ottoni e da Fariselli, che si alterna fra piano elettrico Wurlitzer, piano acustico e organo Hammond. Il basso di Tavolazzi disegna linee complesse caratterizzate da un timbro saturo, che se non era alieno al jazz-rock strumentale, era invece inusuale nei dischi cantautoriali influenzati da quelle sonorità, che tendevano a privilegiare toni più levigati.
"Zucchero" è una dolce canzone d'amore, che si distingue per un ritmo che alterna 4/4 e 6/8, ma ancor di più per un ritornello che sembra anticipare il synth-pop anni Ottanta, grazie al suono dell'Arp 2600, suonato da Lucio Fabbri (uno dei più grandi turnisti italiani, anche lui già presente nei primi due album di Finardi).
Lunga quasi nove minuti, "Non diventare grande mai" è sin dal titolo un attacco all'imborghesimento a cui sono destinati gli ideali giovanili con l'avanzare dell'età. All'infuori della ritmica di base, impostata da Finardi alla chitarra acustica, e della batteria, che entra solo nella seconda metà, è suonata interamente da Tofani, che, su un groove di basso ripetuto ad libitum, disegna notevoli virtuosismi di chitarra acustica e marimba.
"Giai Phong", ispirata dal libro reportage "Giai Phong! La liberazione di Saigon", pubblicato nel 1976 da Tiziano Terzani, è una celebrazione della vittoria del Vietnam del Nord contro gli Stati Uniti. Il testo può apparire problematico riletto oggi, ma anche in questo caso è importante considerare il contesto. Come molti militanti di sinistra, Finardi non poteva prevedere cosa sarebbe successo in seguito, mentre aveva ben chiari - in quanto ampiamente documentati - i numerosi crimini di guerra perpetrati dagli americani durante quel conflitto: non è quindi difficile comprendere la natura dei suoi versi, benché dipingano un idillio ideologizzato ben lontano dalla realtà: "A Saigon intanto tutto andava diversamente, senza violenza, ma ostinatamente, crollavano i valori e l'economia borghese, c'eran pochi soldi, ma a nessuno mancava niente". Lo stesso autore ha in seguito sconfessato quelle parole, senza tuttavia rinnegare il motivo per cui le scrisse, come simbolo di un ideale in cui ha creduto e ha continuato a credere, pur ritenendo errata la sua applicazione.Il brano è introdotto da un contorto assolo di chitarra elettrica, suonata da Alberto Camerini, mentre la ritmica travolgente è guidata da Finardi, che suona egregiamente il basso, dal percussionista etno-jazz Roberto Haliffi e dal solito Calloni marcatamente in anticipo.
"Non è nel cuore" è una canzone d'amore, che punta sul rispetto reciproco più che sul romanticismo. Si tratta del brano più noto del disco e consiste in un folk rock dal piglio progressivo, guidato da chitarre acustiche, organo elettrico e violino.
"Diesel" è un jazz-funk segnato dai ricami virtuosistici di Fariselli al piano elettrico e da un refrain strumentale col violino di Fabbri e il mandolino di Lucio Bardi, stimato chitarrista scoperto da Finardi e già al servizio di Edoardo Bennato. Il testo racconta la vita di strada di chi svolge lavori itineranti: "Da Salerno a Milano con un carico di frutta, sotto il sole bisogna fare in fretta, Giancarlo guida e Mario è su in cuccetta, su per un'Italia che scotta, verso un mercato che li aspetta. E in Emilia sull'altra corsia, un'orchestra di liscio che torna da Pavia, la cantante dorme appoggiata al clarinettista, e sogna il suo lavoro: signori, tutti in pista! Da una festa all'altra sempre in pista".
Un tratto ricorrente di queste canzoni è la semplicità dei loro giri d'accordi, benché i ricami strumentali degli eccellenti strumentisti rendano poi le esecuzioni piuttosto complesse. In questo, l'unica eccezione è rappresentata dalla conclusiva "Scimmia", che presenta diversi accordi maggiori fuori tonalità.
È anche il brano solitamente indicato come capolavoro del disco, testimonianza del suo stesso autore riguardo al suo periodo da eroinomane, raccontato con commovente delicatezza, puntando sulla necessità di trattare i tossicodipendenti con umanità e terminando con un incoraggiamento per chi sta cercando di uscirne: "E smettere non è poi così difficile, non fa neanche tanto male, basta un po' di cura e di comprensione, magari un po' di metadone. E fuori c'è tutto un mondo da scoprire, sul quale si può intervenire. E se tieni duro sei mesi vedrai, che poi non ci ripenserai... quasi mai". Le ultime due parole, pronunciate dopo una pausa appena percettibile, suonano come un invito a non abbassare la guardia, onde evitare ricadute. La base strumentale si sviluppa seguendo l'intensità del testo: un delicato pianoforte elettrico per descrivere l'incertezza e il benessere del primo buco, un frenetico jazz-rock per descrivere la spavalda convinzione di poter mantenere il controllo sulle sostanze, un intermezzo dissonante e distorto per la crisi d'astinenza, un arioso tema di violino per sottolineare l'augurio positivo nella conclusione.
È la giusta chiusura per un disco denso di umanesimo, appartenente a un'epoca ormai definitivamente tramontata, ma che ancora oggi risulta caldo e vibrante, così come risultano sempre in primo piano il suo carattere ecumenico, la volontà di stare dalla parte dei più deboli e di anteporre la gentilezza alla violenza.
"Diesel" viene accolto trionfalmente, almeno in proporzione alla realtà alternativa e antagonista da cui proviene, raggiungendo il numero 5 e rimanendo in classifica per sette mesi: oltre a essere di gran lunga il miglior risultato della Cramps, rimane anche l'apice commerciale di Finardi, che pur avendo piazzato in seguito altri sette album nella top 20, non avrebbe più raggiunto un simile successo.
01/10/2023