Joanna Newsom suona principalmente l’arpa, in alcune occasioni anche il piano, l’harpsichord e un wurlitzer e, soprattutto, canta in maniera eccezionale. Non tanto in quanto dotata di chissà quale accademica preparazione vocale, ma solo perché si ritrova di natura un timbro fortemente caratteristico e originale, che è capace di sfruttare a dovere e nella maniera più giusta: Joanna Newsom canta come una bimba piccola. La sua voce è quella di una bimba piccola, la sua capricciosa espressività è quella di una bimba piccola, la teatralità con la quale pone l’enfasi su certe particolari frasi e passaggi è quella dei bimbi piccoli, quella delle interrogative che vertiginosamente stridulano verso l’alto, delle esclamative che si abbattono verso il basso come il martello sull’incudine, dell’imbarazzo misto all’orgogliosa consapevolezza di stare parlando di "cose da grandi" quando si tratta di frasi d’amore, dell’eccitazione divertita di quando si propone un nuovo gioco che si è appena inventato.
Basterebbe solo questo a rendere il disco preziosissimo, il tipo di energia e vibrazione che trasmette, che non è una consapevole e ragionata "gioia" di vivere, piuttosto l’incosciente e smodata "voglia" di vivere, senza filosofeggiare su quanto belle siano le cose del mondo, ma trasformandole in maniera ingenua e automatica in emozioni.
La musica di "The Milk-Eyed Mender" è dunque il palcoscenico che la Newsom mette su per dare la possibilità alla vera protagonista di muoversi: suonato, come già si è detto in precedenza, quasi interamente con l’arpa, maneggiata dalla nostra in maniera assolutamente egregia, il disco si snoda attraverso delicate ballate che pescano sia dalla tradizione folk (sì, neanche lei è riuscita a resistere al fascino delle origini), sia dalle tipiche armonie di un’altra tradizione molto più recente, che si presume essere quella degli anni del suo avvicinamento alla musica popolare, il pop-rock indipendente di scuola americana. L’utilizzo dell’arpa rende queste due correnti assolutamente coese e conciliabili, e tutte le canzoni sono musicalmente gradevolissime e ben curate, sia quando sono leggermente sbilanciate da un lato, sia quando lo sono dall’altro.
E poi ci sono i testi: ognuno di essi è una piccola chicca, sospesa tra il fantastico-favolistico e una pungente e sbarazzina ironia che, credetemi, non in pochi casi vi porterà al riso. Sentirete cantare di improbabili accostamenti e allitterazioni ("Bridges & Balloons", "Peach, Plum, Pear", "Clam, Crab, Cockle, Cowrie"), scoprirete che la differenza tra "The Sprout And The Bean" (nell’omonima canzone") "is a golden ring", vi troverete al cospetto di professori pedanti e bacchettoni bravi solo a criticare ("hand that pen over to me, poetaster!" – e quel "poetaster!" dice tutto, come una versione comica e sciancata dell’ headmaster di Morrissey -) e ancora costellazioni ("Cassiopeia"), cigni bianchi ("Swansea"), gente che succhia limoni ("This Side Of The Blue") e che distrugge la propria cena a colpi di karate ("The Book Of Right-On"). E poi il punto più alto di tutta l’opera, quel coro di bambini che in "Peach, Plum, Pear" canta la frase "I am sad" con il tono di chi non gliene può fregare di meno, esattamente all’opposto (e quindi in maniera identica) dei bimbi che alle feste scolastiche di carnevale intonano quelle canzoni tipo "ah che divertimento!" quando in realtà si stanno evidentemente e bellamente rompendo i coglioni.
E a chiudere il disco stavolta non è l’ultima, splendida canzone, ma quel cuoricino rosso rosso disegnato nel booklet sotto i ringraziamenti, quasi a ricordarci che la musica è, soprattutto, una questione di cuore.
12/12/2006
1. Bridges and Balloons
2. Sprout and the Bean
3. Book of Right-On
4. Sadie
5. Inflammatory Writ
6. This Side of the Blue
7. "En Gallop"
8. Cassiopeia
9. Peach, Plum, Pear
10. Swansea
11. Three Little Babes
12. Clam, Crab, Cockle, Cowrie