A breve distanza dallo strabiliante album omonimo di debutto, la band coagulatasi intorno alla comune passione di Greg Weeks, Meg Baird e Brooke Sietensons per il folk delle origini si consolida in uno stabile sestetto, celebrando l'occasione con un nuovo ed esplicito omaggio a un folk antico e denso di fascino, questa volta posto in essere attraverso cover di brani tradizionali e rimaneggiamenti sorprendenti e di natura molto varia.
"The Weed Tree" è infatti un album (tuttavia spesso classificato come mini, nonostante i suoi trentasette minuti di durata) composto da sole cover, ad eccezione dell'inedito finale "Dead King", che vede gli Espers applicare l'impronta per la quale si era segnalata al suo esordio a brani dalle più spiccate componenti armoniche, tali da esaltare tanto l'incanto di un suono onirico e assolutamente fuori dal tempo quanto le aggraziate doti melodiche dei suoi interpreti.
Il completamento dell'organico della band corrisponde un sostanziale sviluppo della sua sensibilità armonica, reso possibile anche dalla qualità dei brani scelti per le reinterpretazioni secondo il policromo immaginario folk di Greg Weeks e compagni. Se infatti nel debutto era quasi la sola "Sister" a presentare i tratti di una vera e propria canzone, "The Weed Tree" esplora con notevole personalità tematiche di un folk bucolico che spesso assume forme lievi e trasognate, anche in forza della grazia dei frequenti intrecci vocali, che esaltano il polveroso romanticismo della sognante "Tomorrow" (completamente stravolta rispetto all'originale dei Durutti Column) e le sfumature più oscure del pezzo di "Blue Mountain" (Michael Hurley).
Benché l'impostazione prevalente permanga intima e cristallina, come testimoniato soprattutto dalla splendida versione di "Black Is The Color" e dalla cover di "Afraid" di Nico, non mancano tuttavia fughe psichedeliche, inserite a coronamento di "Rosemary Lane" e "Blue Mountain" e sfocianti nella torsione elettrica che segna il crescendo acido della lunga "Flaming Telepath", reinterpretazione acida dei Blue Oyster Cult.
Ben distante da un mero esercizio stilistico, "The Weed Tree" offre compiuta dimostrazione della capacità degli Espers di tradurre secondo la propria sensibilità brani di natura eterogenea. E se il risultato non è calligrafico di fronte alle ballate della tradizione né grossolano ove applicato a originali esultanti da un ambito strettamente folk, dipende dalla freschezza di reinterpretazioni che non sembrano nemmeno tale, grazie all'incredibile naturalezza conseguita da questo gruppo di artisti nel dar voce al tempo presente a una musica avvolta da un'affascinante patina d'antichità.
19/12/2008