In principio furono i Kyuss, gli inventori dello stoner, che da una costola generarono i Queens Of The Stone Age, la band in grado, con tre soli album di ridefinire il concetto di rock nel nuovo millennio.
Fra una Desert Session e l'altra, "Songs For The Deaf" - il più recente del celebre trittico - è stato riconosciuto come uno dei dischi più importanti degli anni Zero, e oggi pesa sulla testa di Josh Homme il compito di dare un seguito a qualcosa di monumentale.
Il 2005 dei nuovi Queens Of The Stone Age ha oggi un nome, "Lullabies To Paralyze", e registra l'assenza di Nick Oliveri, un'assenza che si sente, così come quella di Dave Grohl, che su "Songs For The Deaf" fece un lavoro superbo dietro tamburi e rullanti. Ed anche l'impiego di Mark Lanegan è drasticamente ridotto, forse perchè impegnato nel versante solistico, rivalutato dal buon seguito del recente "Bubblegum".
Il colpaccio sarebbe stato quello di inserire in qualche modo P.J. Harvey, grande protagonista nell'ultimo capitolo delle "Desert Sessions" con tre brani fulminanti (su tutti "Crawl Home"): da quel progetto viene invece data una seconda opportunità a "In My Head", non certo l'episodio migliore.
Dall'ascolto di "Lullabies To Paralyze" si esce col rammarico per quel che poteva essere e non è stato, in un disco che parte come un diesel, con quella ninna nanna sussurrata da Lanegan, e si sveglia dal torpore attraverso lo schiaffo decisamente "Stone Age" di "Medication", un fulmine trita tutto.
Poi ci si culla sulla lucente slide di "Everybody Knows That You're Insane", intensa e avvolgente, e a metà disco arrivano provvidenziali le due lunghe zampate decisive sotto forma di "Someone's In The Wolf" (oltre sette minuti) e "The Blood Is Love" (oltre 6), i disegni più compiuti e articolati dell'intero lavoro.
I momenti "tranquilli" sono molti più del solito, soprattutto nella parte finale della tracklist, quando scorrono sornione "You've Got A Killer Scene There" (di nuovo con Lanegan alla voce) e "Long Slow Goodbye", tutto sommato un degno epilogo.
E poi c'è la più bella e coinvolgente ballata mai scritta dai Queens Of The Stone Age, "I Never Came", accattivante quanto basta per riuscire magari a far breccia nel grande pubblico: in un mondo ideale sarebbe in heavy rotation su Mtv.
Non mancano i divertissement di "Little Sister" e "Broken Boz", pezzi che Homme è in grado di scrivere in pochi minuti di sana ispirazione; negli episodi più "noir" - "Burn The Witch", "Skin On Skin" - affiora invece una fastidiosa sensazione di déjà vu.
"Lullabies To Paralyze" è un onesto disco rock, un album discreto, senza però il proverbiale salto in avanti che i Queens in passato erano sempre riusciti ad assicurare. Del resto da chi nel proprio genere è (stato) il primo della classe, ci si aspetta sempre qualcosina di più.
31/10/2012