Prima di archiviare un 2006 oltremodo prospero di leccornie discografiche, non possiamo non segnalare questo “Osmose”, del sassofonista Ariel Kalma, originariamente edito nel 1978, che sarebbe un peccato si perdesse tra la messe indiscriminata di ristampe che anche quest’anno si sono riversate sul mercato. Nato e cresciuto Parigi, Kalma iniziò a suonare il sassofono all’età di 15 anni, per poi approfondire studi d’arte e musica oltre che di computer science . Ben presto intraprese un pellegrinaggio cultural/spirituale tra India, Giappone, Canada, Stati Uniti, che gli permise di allargare i propri orizzonti conoscitivi e di acquisire competenze su differenti linguaggi e tecniche compositive. Tornato in Francia nel 1976, Kalma applicò quanto appreso, dando sfogo di creatività in uno stile che faceva della transglobalità il carattere predominante.
Ma cos’è il disco? New age penserete voi? Beh, non proprio, nonostante le sonorità lo facciano a un primo ascolto pensare. In realtà, Kalma si servì di field recording registrati nella foresta, come tavolozza su cui innestare tutta una serie di divagazioni che prendevano spunto dal minimalismo, da certa elettronica accademica, come dal kraut sound più estatico, quello di Popol Vuh, Cluster, Guru Guru e Tangerine Dream per intenderci.
Un’ambient music, naturalistica, potentissima ed evocativa come dimostra la splendida “Manege”, che sale d’intensità mano a mano, con una varietà di segni sonori che avvolgono, stupiscono, atterriscono, fino a farti sentire indifeso al cospetto della caducità delle cose. Sensazione ancor più intensa nell’inquietante “Saxo Planetariel”, in cui Kalma fa propria la tecnica del circular breathing per tirar fuor dallo strumento un suono denso e organico al contempo.
Parafrasando una recensione beccata tra i meandri della rete, “Osmose” ci ricorda che la foresta non è esclusivamente luogo di pace e bellezza incontaminata, ma nasconde nel suo ventre un che di misterioso, alieno, qualcosa che i nostri sensi fanno fatica a decodificare. Ed è proprio di quest'ascetica, oscura temperie che sono pregne le composizioni.
A chi potrebbe piacere? Beh, a tutti (spero), perché trattasi di un disco di qualità assoluta, ma teniamo a consigliarlo soprattutto ai fanatici dei suoni Foxglove/Digitalis, e chissà che il Rameses III della situazione non sia già tutto qui.
14/12/2006