La storia biografica dei nostrani Morose è prima di tutto una storia di cambi di line-up , forse anche di ipotesi di ripensamento, ma pure di coraggio e di uniformazione stilistica. Attraverso le loro uscite discografiche (non poche, a dire il vero), dalle prime cassette su Ouzel Records, alle comparse su compilation, fino ai long-playing “La mia ragazza mi ha lasciato” e “People Have Ceased To Ask About You”, il gruppo ha spostato in modo continuo e quasi millimetrico gli assi portanti del suo sadcore (la variante espressivo-cantautoriale dello slowcore, ndr ), ma in modo assolutamente spontaneo, poetico, quasi silente. Anti-demagogico, verrebbe da dire.
L’ultimo parto “On The Back Of Each Day”, realizzato da un trio che comprende in via stabile (?) Valerio Sartori, Davide Speranza e Pier Grigio Storti, catalizza questa tendenza, sia confermandola con solidità che rendendola ancor più melanconicamente sanguigna. C’è pertanto “Rain Dance”, con il suo canto su maestrali d’elettrica, i vagiti spettrali di sampler e gli accordi dimessi di piano, con sound cameristico e un’andatura inquietante nel suo essere metronomica, e il carillon di “Cry Faugh” accoppiato frastuoni che montano via via, declamato teatrante alla Cave e sculture di suono che implodono in sé stesse. A questi due brani cardinali vanno però aggiunti il folk apocalittico Cohen-iano di “Haven't You Noticed?”, la ballata fatalista Black Heart Procession di “Beginning Of The End” e il saltarello neo-classico di “Foie De Dinde” (entrambe solcate da un ampio e dolentissimo canto di tromba).
Vengono quindi brani parimenti curati e condotti con sentimento poetico dello struggimento interiore (quasi sepolcrale): “Blessing In Disguise”, con il suo piano elettrico commosso e il suo scenario che quasi richiama certi tardi Liars d’ispirazione lirica, “Drowned Gramophone”, valzer dissonante a metà tra fosco fade in alla Sigur Rós e le ocean songs dei Dirty Three, “We Guarantee Disappointment” e il suo incubo rumorista che dà origine a un tema di chitarra classica degno degli ultimi Swans.
Terzo album su lunga distanza della band ligure che rivaleggia, per devastazione morale e intensità risucchiante, anche se non per complessiva caratura artistica, con il fantastico “The Forest And The Sea” di Leafcutter John (Staubgold, 2006). Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen, dietro mixer e livelli del suono, scaturisce un canto spiegato a sfondo argutamente monocromatico (ripetitivo quando serve, a tecnica mista quando serve). Finalmente un disco italiano con la tristezza al centro di tutto, senza inibizioni! Il testo di “Beginning Of The End” è liberamente ispirato ai versi di “Fantasy In Purple” del poeta e romanziere blues Langston Hughes (1902-1967).
23/11/2006