Il sudore grondato dalla chioma ossigenata di John Congleton lascia che tutto gli si perdoni.
I Paper Chase, senza spocchia, senza beltade, senza scrupolo, lanciano benzina sul fuoco dei loro live generosi, eccessivi, allucinati.
Meno esoterici dei Liars, discretamente turbati da aderire senza troppa fatica a un archetipo di deflagrante no wave, tornano, dopo i fulgori in studio e dal vivo di "God Bless Your Black Heart", con "Now You’re One of Us", come la più folle delle conclavi. Dopo un intro brevissimo e concitatamente balbettato al vocoder, inizia la vera e propria apocalisse impastata di violino quasi scordato insieme con tastiera sbilenca ad accogliere l’alterazione furiosa di Congleton, impegnato in un ritornello all’apparenza minaccioso ("We Know Where You Sleep").
Segue uno sventramento noisy, nel cui impianto, quasi come estraniato deus ex machina , cala un organo da saloon, che asseconda quasi con sadismo la provocazione del cantato ("The Kids Will Grow Up To Be Assholes").
Immediatamente dopo, la tensione diventa viscerale e dilatata in uno strofinio furibondo, segnato dal sottofondo di un coro in prova d’acuto ("Wait Until I Get My Hands On You").
Al centro del disco, irrompe, egocentrica ed energica, la melodia, declinata a certo incedere glam ("The Most Important Part Of Your Body") che non si preoccupa di nascondere una forma mentis segnata dal camaleonte bowiano e ben compressa nello spazio di una traccia ("…And All the Candy You Can Eat"). Il gioco prosegue apparentemente mitigato dall’intro di un chiacchiericcio femminile, il cui miele cerca paradossalmente di colare dalla distorsione a mille della chitarra ("All Manner Of Pox Or Canker"), per poi, addirittura, affidarsi alla grazia di un piano stuprata, al suo interno, dall’ira funesta della voce dionisiacamente su di giri, con effetto di contrasto surreale, il cui finale, condito di ansimare femminili, fa pensare quasi a una canzone d’amore ("At The Other End Of The Leash").
Si chiude con una voce quasi metallica, che, alla stregua di un’ipnosi, accoglie recitando "you are sleeping, you do not want to believe", e ci si trova direttamente catapultati nell’unica zona d’ombra del disco, tirata, senza troppo rispetto, nella forma di un math-rock ruvido e fastidioso ("The House Is Alive And The House Is Hungry").
Se il caos è sicuramente una delle cifre stilistiche della band americana, allo stesso modo, il furore, l’eccesso, l’effetto baroccheggiante dell’ensemble di strumenti, combinati e suonati nell’a-schematismo più ortodosso, pur non riuscendo a ridursi al disordine ragionato di "God Bless Your Black Heart", continuano a essere sintomatici di una delle realtà più attraenti del calderone indie, nel vizio della copia fedele di sé stessa, ma non di ciò che accade intorno.
06/07/2006