Dietro il moniker Pink Mountaintops si nasconde Stephen McBeam, musicista canadese già protagonista nei Black Mountain (che magari avrete imparato a conoscere lo scorso anno grazie al buon esordio omonimo) e nei Jerk With A Bomb. McBeam è un musicista degli anni Novanta, interprete di un chitarrismo dall'evidente taglio stoner, che ignora (o quasi) l'avvento del Duemila e sogna di vivere nel passato. Se con i Black Mountain McBeam proponeva la sua versione dell'hard-rock, con profonde tinte psichedeliche, con i Pink Mountaintops (che in verità hanno già un disco alle spalle, anch'esso omonimo) la psichedelia si prende tutto lo scenario, spaziando, equamente divisa, fra fine anni Sessanta e fine anni Ottanta.
Dopo l'intro di "Comas", chitarra e voce in atmosfera bucolica sistemata fuori dal tempo, comincia il revival. "Cold Criminals" presenta il suo pesante chitarrone stoner levigato e messo a impalcatura, con contrappunto acustico psichedelico, la batteria ottusa e basica che sostiene tribale alla Maureen Tucker. L'aria è rilassata, infestata solo da qualche rumorino elettronico. E' un filo di canzone, neanche poi spiacevole, che cerca l'effetto-trance con la ripetitività. Sarà questa la cifra stilistica di tutto l'album, e sarà questo uno dei suoi limiti maggiori, dato che la trance probabilmente ha sbagliato strada e non arriva, e l'ascoltatore, ahilui, resta in attesa mani nelle mani. Costituisce piacevole eccezione lo scherzo ultra-pop di "New Drug Queens", chitarrismo affilato, teso e rumoroso, batteria elettronica, recita sguaiata accompagnata da coro femminile. Anche qui l'evoluzione del brano è un problema (perché non arriva), ma la brevità gli permette di non stancare, anche se non permette incisività.
"Slaves" è un lungo esercizio di tribalismo, chitarra fendente sui tamburi, struttura che si reitera in continuazione, accensione che non arriva. Diviene allora necessità impellente tuffarsi nelle acque catartiche e religiose di "Plastic Man, You're The Devil", chitarre e vibrazione shoegazer di fondo, sputtanatamente Spacemen 3, merito e limite maggiore, dato che vien voglia di chiudere, subito, qui, ora, metter su "The Perfect Prescription" e goderne a lungo. L'abnegazione e l'autolesionismo spinto ci impongono di continuare: per fortuna il gospel "moderno" (ovvero fine Ottanta) di "Lord, Let Us Shine" è numero piacevole, tra particelle elettroniche e chitarre roteanti, poi ancora venti shoegazer a portare l'unica variazione a tema del disco, con la canzone che s'impenna in un gran finale corale e accorato tra melodia e rumore.
Putroppo in chiusura torna la mediocrità, portata dalla dilatata melodia psych-folk di "How We Can Get Free", anch'essa permeata di spiritualità e sporcata giusto da un filo di synth e qualche cicalio elettronico. Si giunge così al momento della sentenza, che per McBeam stavolta è piuttosto impietosa. "Axis Of Evol" è il frutto di un musicista che ha studiato, e tanto, davvero tanto. Però è anche il risultato di un copia/incolla di modelli passati, tutto perfettino, senza anima, senza sudore, senza genio. Non è una critica contro l'operazione in sé (che altre volte gli era riuscita): il problema è che i brani, stavolta, sono davvero poveri. Non si tratta di un disco pessimo, ma, sinceramente, non vi sono ragioni per acquistarlo.
19/03/2006