Black Mountain

Black Mountain

La resurrezione dello psych-rock

In pochi anni i Black Mountain si sono affermati come i più determinati promotori della rinascita di certi suoni hard-rock, aromatizzati in salsa psichedelica con non pochi riferimenti al miglior spirito folk. Non un'operazione nostalgica, bensì la costruzione di una nuova estetica sonora

di Claudio Lancia

Start Up

Nel nuovo millennio il Canada si è musicalmente imposto come uno dei centri nevralgici, un generatore di novità entusiasmanti dal quale sono usciti alcuni fra i nomi più hype del circuito indie, basti pensare ad Arcade Fire, Decemberists, New Pornographers o Broken Social Scene, formazioni che hanno portato una ventata d'aria fresca. I Black Mountain, da Vancouver, sono i canadesi che più di tutti hanno dimostrato di saper catturare un certo mood di evidente derivazione Sixties/Seventies e catapultarlo nei nostri giorni. Una band imponente, nata dalle ceneri dei Jerk With A Bomb, titolari di tre album a cavallo fra i due millenni, con in line up Stephen McBean (voce e chitarra) e Joshua Wells (batteria).
Quando i Jerk With A Bomb terminano la propria corsa, i due danno vita a una nuova formazione reclutando la cantante Amber Webber, il bassista Matthew Camirand (già nei Black Halos) e il tastierista Jeremy Schmidt. Nel tempo i Black Mountain si dimostreranno un vero e proprio collettivo (militarmente denominato Black Mountain Army), con i propri membri impegnati in un dedalo di side project tutti di notevole spessore. La prima pubblicazione in assoluto porta infatti la firma dei Pink Mountaintops, progetto solista di Stephen McBean intorno al quale gravitano altri membri dei Black Mountain e numerosi amici, una sorta di crew aperta che nel 2004 timbra il proprio esordio.


Black Mountain

Qualche mese più tardi, dopo aver tastato il terreno con l'EP "Druganaut", i Black Mountain fanno il proprio ingresso sul mercato discografico in pompa magna con l'album che porta il loro nome, subito salutato in maniera entusiastica dalla critica internazionale. Black Mountain, roccioso già dall'immagine di copertina, è uno straordinario disco di hard psichedelia con dentro riffoni di matrice tanto sabbathiana/zeppeliniana quanto stoner, accenti folky ("Heart Of Snow") ed esilaranti digressioni zappiane (il sax dell'iniziale "Modern Music").
La chiave di volta per conquistare le orecchie degli ascoltatori è "Dont Run Our Hearts Around",la traccia più rappresentativa dell'album,  che con il suo trionfo di Gibson ed un sapiente gioco di vuoti e pieni diventerà uno dei pezzi forti nelle esibizioni live della band. "Set Us Free" non lesina riferimenti pinkfloydiani, "No Hits" e "Faulty Times" si impongono come mantra lisergici di inestimabile valore, "No Satisfaction" è il divertito omaggio agli Stones. Black Mountain (il disco) sarà considerato da molti addetti ai lavori come una delle più grandi sorprese dell'anno, ed i Black Mountain (la band) come una nuova stella di prima grandezza nel sempre più sorprendente firmamento canadese, e non sarà che l'inizio di un percorso assolutamente virtuoso.


Pink Mountaintops

Sulla scia di questa convincente prestazione Stephen McBean (leader assoluto della formazione) dà alle stampe il secondo lavoro dei Pink Mountaintops, Axis Of Evol, al momento il più riuscito del side project. Nonostante evidenti affinità, i Pink Mountaintops si contraddistinguono dai Black Mountain per il piglio decisamente più sperimentale.
In sospeso fra psichedelia, pop a bassa fedeltà e spruzzi di kraut-rock, Axis Of Evol contiene la stupefacente "Slaves", forse in assoluto la migliore composizione mai realizzata della band. Nel 2009 e nel 2014 seguiranno altri due album, Outside Love e Get Back, di nuovo ben accolti dalla critica pur non riservando novità di particolare rilievo.


In The Future


Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 2008 quando i Black Mountain pubblicarono il fatidico secondo capitolo della propria discografia. In The Future (mai titolo fu più in contrapposizione con i contenuti di un disco) rappresenta un nuovo ambizioso capitolo in grado di dimostrare come l'esordio dei Black Mountain non fu solo un abbaglio, bensì il mezzo migliore per trasmettere ai posteri un pezzettino di antichità musicale, adeguatamente attualizzata. Nel campo minato del citazionismo selvaggio i Black Mountain ne escono da grandiosi trionfatori, infilando dieci tracce che rendono giustizia al classic hard rock, miscelandolo con spunti psych-prog ed acoustic folk, ma rendendo il tutto di una modernità inaudita. La band convince sia nei momenti più granitici (l'assalto iniziale di "Stormy High", la massiccia "Tyrants", oltre ad una "Evil Ways" strumentalmente degna dei migliori Deep Purple), sia in quelli dove si preferisce rallentare il ritmo (le cristallerie acustiche sul falsetto di "Stay Free", composta per la colonna sonora di "Spiderman 3", i saliscendi zeppeliniani di "Angels", l'epicità di "Queens Will Play").
Ma gli applausi a scena aperta giungono in corrispondenza di "Wucan" (eccellente nel dare un tocco meno classico all'insieme) e della meraviglia Bowie - pop rappresentata da "Wild Wind", così compressa e così irrinunciabile. L'unico momento sbadiglio è in corrispondenza dell'esageratamente lunga "Bright Light", dove i canadesi si lasciano prendere un po' troppo la mano da stucchevolezze hard prog, dilungandosi un tantino oltre il necessario. Per il resto ci si muove sugli stessi binari dell'esordio, aggiungendo una coerenza finora sconosciuta alla band, ed insinuando un tocco folky nella conclusiva "Night Walks" dove emerge l'angelica voce di Amber Webber, mai così prossima allo stile che fu della migliore Sinead O'Connor. La tensione è costantemente assicurata attraverso un sapiente gioco di salite e discese, di luci ed ombre, di momenti epici calibrati al punto giusto, il tutto nel rispetto di un'organicità di fondo che rende il lavoro decisamente superbo.
Complessivamente i Black Mountain dimostrano di non perseguire l'originalità, bensì lasciano emergere la sincera emulazione di un suono e di un'attitudine tipica del rock anni ‘70, tramutata in tracce che non intendono assolutamente sposarsi con la contemporaneità, ma generarla, come a voler creare una nuova via musicale da seguire. Lontani dalla patinatezza di Battles o Pinback, riescono a coinvolgere emozionalmente i fan dei Led Zeppelin quanto quelli dei Queens Of The Stone Age, riunendo idealmente quattro decenni di evoluzione della musica rock. Per i maniaci completisti segnaliamo che in commercio fu immessa anche una limited edition con tre tracce bonus.


Wilderness Heart

Nel 2010 il quintetto canadese dà alle stampe l'album della grande conferma, Wilderness Heart, con il quale consolidano quanto di buono fatto fino a quel momento, ed allargando ulteriormente la cerchia dei fan, adattandosi maggiormente al formato canzone (stavolta non si va mai troppo oltre i cinque minuti) ed affidandosi sovente a suoni di più facile presa. Il risultato è un altro straordinario disco che certifica definitivamente la presenza dei Black Mountain nella cerchia delle migliori band del nuovo millennio. Wilderness Heart è un disco dicotomico, anche perché frutto di due diverse session di registrazione, tenute a Seattle e Los Angeles, le quali hanno conferito atmosfere differenti al processo compositivo, nonché i diversi umori musicali che emergono sin dal primo ascolto. Accanto ai soliti riff imperiosi ("Rollercoaster" si dimostra tanto figlia degli Zeppelin, quanto "Let Spirits Ride" odora di Black Sabbath sino al midollo, mentre la title track riassume in maniera esemplare almeno dieci anni di grande rock) troviamo ballate di grande intensità ("Radiant Hearts", "The Way To Gone"), e persino una manciata di composizioni acustiche ("Buried By The Blues", "The Space Of Your Mind", la conclusiva "Sadie").
Questa volta vengono inseriti maggiori elementi della tradizione folk americana, ed i suoni risultano complessivamente più sobri e puliti. Alcune tracce si impongono come potenziali hit (irresistibili le ruggenti tastiere di "Old Fangs"), altrove tornano ad emergere aromi folk, soprattutto in corrispondenza dell'iniziale "Hair Song", vero inno di gioia e pace che termina con la frase "Let the love in your heart take control", quasi un ritorno all'immaginario hippie. Giunti al terzo album e confermate, migliorandole, le premesse dei primi due lavori, la band canadese si è oramai ben insediata nel gotha degli artisti che stanno scrivendo la storia della musica rock nel nuovo millennio. Il loro hard rock psichedelico, con forti radici folk, va allargando le schiere di adepti non solo fra i nostalgici di certe atmosfere seventies.
Saranno pure derivativi, ma nessuno oggi è in grado di ossequiare certe sonorità bene quanto loro, dando una bella dimostrazione a tutti coloro i quali sostengono che il rock oggi non avrebbe più niente da dire. I Black Mountain non intendono saccheggiare, o riportare pedissequamente le atmosfere di un tempo, bensì gettare le basi per un nuovo discorso che da quell'atteggiamento intende riprendere soltanto l'approccio primordiale. Superbi fautori della resurrezione dell'hard rock in salsa psichedelica, i Black Mountain hanno reso così personali i propri riferimenti, da riuscire a suonare oggi come nessun'altra band del pianeta, diventando loro stessi il nuovo termine di paragone per chi da ora intenderà emulare questi suoni.


Year Zero

Ad aprile 2012 i Black Mountain pubblicano la colonna sonora del film post apocalittico Year Zero, con cinque brani inediti e quattro già presenti in loro precedenti lavori. "Modern Music" era l'opening simil-zappiano del loro album d'esordio, il masterpiece neo-psichedelico "Tyrants" e la lunga "Bright Lights" (qui lievemente accorciata) facevano parte di "In The Future", "Wilderness Heart" è la botta d'energia che dava il titolo all'omonimo full length. Delle nuove composizioni, quella più tipicamente Black Mountain risulta essere senz'altro "Mary Lou" (l'unica cantata da McBean), cavalcata elettrica di qualità superiore, che li conferma una spanna sopra tutti i protagonisti della scena neo psych-rock contemporanea. Un brano pregno degli oramai consolidati suoni tardo Sixties/early Seventies proposti dalla band, riveduti e corretti attraverso l'approccio moderno e visionario che da sempre costituisce l'inconfondibile marchio di fabbrica del quintetto di Vancouver. Una volta accontentati i fan storici, i canadesi possono sbizzarrirsi nella ricerca di nuove vie espressive: tirano giù dagli scaffali tutti gli alambicchi impolverati e si avventurano nel disegno di scenari per loro inediti, approfittando del fatto di dover concepire commenti sonori funzionali alla pellicola.
Occasione unica per arricchire di un plus strategico il loro ventaglio di avventure.
Destano quindi sorpresa nell'ascoltatore (e sono decisamente benvenute) le algide costruzioni di evidente derivazione new wave (ma nella seconda parte emergono importanti intersezioni con i Pink Floyd di "Shine On You Crazy Diamond") che caratterizzano l'iniziale "Phosphorescent Waves", interamente giocata sui synth e sulla coinvolgente voce di Amber Webber. Sintetizzatori in primo piano anche nei landscape atmosferici di "Embrace Euphoria" (spoken word che getta ulteriori ipotesi sul futuro) e in "In Sequence". "Breathe" chiude la sequenza sposando gli atteggiamenti tipicamente sixties della band con una sorta di shoegaze/noise ante litteram. Di fatto la colonna sonora di Year Zero rappresenta un ottimo lavoro di transizione che potrebbe gettare un ideale ponte fra i Black Mountain del passato e quelli a venire.

IV

A sei anni di distanza da Wilderness Heart, il primo aprile 2016 i Black Mountain pubblicano IV, un album che torna verso sonorità meno solari rispetto al precedente. I portentosi riff diventano strumentali per un nuovo atteggiamento spacey, che si concretizza in brani lunghi e strutturati: l’iniziale “Mothers Of The Sun”, da subito manifesto programmatico, “(Over And Over) The Chain” e la conclusiva “Space To Bakersfield”. Le voci di Amber Smith a Stephen McBean si incrociano a meraviglia su tessuti sonori vintage che mescolano assieme chitarroni di evidente derivazione Zeppeliniana / Sabbathiana con atmosfere psichedeliche e diluizioni kosmische.
La band canadese dà però il meglio di sé quando riesce a sintetizzare il discorso, puntando sull’immaginario hyppie del singolo “Florian Saucer Attack”, sulle reminescenze folkye di “Line Them All Up” e “Crucify Me”, sulla rotonda perfezione alt-rock di “Defector” e “Cemetery Breeding”, e magari pestando con decisione sul pedale del distorsore, come nel caso di “Constellation”. Un po’ figli dei fiori, un po’ instancabili hard-rocker, i Black Mountain si confermano di nuovo fra i migliori rappresentanti del classic rock nordamericano del nuovo millennio.

Destroyer

Il 25 maggio 2019 è la volta del quinto lavoro della formazione canadese, Destroyer, che registra alcuni cambi di formazione, anche molto importanti: Amber Webber, da sempre voce femminile del gruppo, in grado di dare un’impronta determinante a tante composizioni, e Joshua Wells hanno abbandonato la partita, sostituiti da Arjan Miranda, Rachel Fannan (Sleepy Sun) e Adam Bulgasem (Dommengang, Soft Kill). Sono invece intervenuti a dare il proprio contributo estemporaneo Kliph Scurlock (Flaming Lips), Kid Millions (Oneida) e John Congleton (St. Vincent, Swans). Anticipato dai due singoli “Future Shade” e “Boogie Lover”, dei quali il primo è considerabile il nuovo inno ufficiale, con Destroyer la band di Stephen McBean da un lato punta sul sicuro, assestandosi spesso su strade confortevoli gia ben percorse in passato, come nel caso di “Horns Arising”, che miscela chitarroni, vocoder e intermezzi bucolici a due passi dal prog, della più heavy “Licensed To Drive” e dell’intermezzo a tinte space “Closer To The Edge”.
In altri momenti i Black Mountain cercano invece di sorprendere: non tanto puntando sul vorticoso glam di “High Rise”, quanto nel mirabile lavoro di sintesi svolto su una “Pretty Little Lazies” in grado di centrifugare modalità sonore appartenute a Doors, Jeff Buckley, Sabbath e Barrett, e soprattutto nella conclusiva “FD 72”, avvolta in spirali proto wave che rimandano al Bowie berlinese. Elementi di svolta che iniettano in Destroyer una rinnovata vitalità, qualificandolo come step interlocutorio verso un promettente futuro che non intende lesinare novità.

Other Projects

A maggio del 2022, dopo otto anni di asenza (se si eccettua una raccolta di early demos), si registra il ritorno dei Pink Mountaintops con il riuscito Peacock Pools. Lasciata da parte qualsiasi lungaggine lisergica, la band vira verso un formato canzone fruibile e radio-friendly, come ben anticipato dal singolo “Lights Of The City”. Ma il vero punto di forza di Peacock Pools risiede nella sua eterogeneità. Prendete le prime cinque tracce e scoprirete altrettanti mondi diversissimi fra loro: dagli Eels di “Nervous Breakdown” (che poi è una cover dei Black Flag) alla versione light dei Nine Inch Nails in “Blazing Eye”, dai sentori del songwriting di Jeff Tweedy in “Nikki Go Sudden” al cantautorato seventies modalità Syd Barrett in “You Still Around?”. Elementi sintetici rendono interessanti “Shake The Dust” e “Muscle”, mentre “All This Death Is Killing Me” rappresenta l’episodio più follemente proto-hard del lotto e la conclusiva “The Walk – Song For Amy” non sfigurerebbe nel catalogo di Paul Weller
Nato durante i giorni della pandemia, fra contatti riallacciati con amici bloccati a casa e tour improvvisamente cancellati, Peacock Pools (il primo disco del collettivo pubblicato dalla ATO di Dave Matthews) vede la collaborazione di vecchi a nuovi compagni di merende: i sodali Joshua Wells e Jeremy Schmidt, la suadente voce femminile di Emily Rose Epstein, la batteria di Ryan Jewwell e il violino di Laena Myers-Ionita il violino, più in paio di tracce le presenze di Steven McDonald dei Redd Kross e Dale Crover dei Melvins.

Come corollario all'attività dei Black Mountain si muovono anche altre formazioni. Joshua Wells ed Amber Webber danno vita ai Lightning Dust, titolari di quattro dischi all'insegna di un fascinoso pop cosmico: Lightning Dust (2007), Infinite Light (2009), Fantasy (2013) e Spectre (2019). Prescindibile il successivo Nostalgia Killer (2023), oscillante fra dream-pop di maniera e magniloquenza sonora, giunto all'indomani dell'interruzione del rapporto sentimentale fra Joshua e Amber.
Più orientati verso il il country folk meno allineato i Blood Meridian (nome mutuato dal romanzo di Corman McCarty), guidati da Wells e Matthew Camirand, fra il 2004 ed il 2007 hanno pubblicato tre album e un EP.
Jeremy Schmidt nel 2002 ha invece realizzato in edizione limitata un album interamente strumentale (l'originariamente autoprodotto The Enchanter Persuaded) con l'alias di Sinoia Caves, ristampato dalla Jagjaguwar quattro anni più tardi. A questo ha fatto seguito nel 2014 la colonna sonora Beyond The Black Rainbow.

Black Mountain

Discografia

BLACK MOUNTAIN

Black Mountain (Jagjaguwar, 2005)

8

In The Future (Jagjaguwar, 2008)

7,5

Wilderness Heart (Jagjaguwar, 2010)

7

Year Zero (colonna sonora, Jagjaguwar, 2012)

7

IV (Jagjaguwar, 2016)7
Destroyer (Jagjaguwar, 2019)7

PINK MOUNTAINTOPS

Pink Mountaintops (Jagjaguwar, 2004)

6

Axis Of Evol (Jagjaguwar, 2006)

6,5

Outside Love (Jagjaguwar, 2009)

6

Get Back (Jagjaguwar, 2014)

6,5

Peacock Pools (ATO, 2022)7

LIGHTNING DUST

Lightning Dust (Jagjaguwar, 2007)

5,5

Infinite Light (Jagjaguwar, 2009)

6

Fantasy (Jagjaguwar, 2013)

6

Spectre (Western Vinyl, 2019)

6,5

Nostalgia Killer (Western Vinyl, 2023)

5

BLOODMERIDIAN

We Almost Made It Home (Teenage, 2004)

6

Kick Up The Dust (Outside Music, 2006)

6

Soldiers Of Christ Ep (Outside Music, 2006)

6

Liquidate Paris! (Elevation, 2007)

5,5

SINOIA CAVES

The Enchanter Persuaded (autoprodotto, 2002)

5

Beyond The Black Rainbow (colonna sonora, Jagjaguwar, 2014)6
Pietra miliare
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Sito ufficiale
Myspace
Testi
  
 VIDEO
Wucan (videoclip da In The Future, 2008)
Angels (videoclip da In The Future, 2008)
The Hair Song (videoclip da Wilderness Heart, 2010)
Old Fangs (videoclip da Wilderness Heart, 2010)