Ecco che cosa è questo omonimo. Un album che strizza l'occhio al lato intimista, un album che presenta caratteristiche affini ad altre migliaia di dischi e che pare inevitabilmente destinato a finire in quel pozzo senza fondo di lavori, non dico brutti, ma trascurabili sì. Avrete ben capito che qui l'originalità rasenta lo zero. E ben sapete pure che sul fatto che la Jagjaguwar non sbagli un colpo ci si potrebbe mettere la mano sul fuoco, ma effettivamente c'è la sensazione che questa volta qualcosa non torni. Amber Webber e Joshua Wells, già membri dei Black Mountain, danno alle stampe il loro debutto, dopo essersi staccati dal gruppo madre. E se nell'omonimo album del gruppo canadese erano le spinte hard-rock a farla da padrone, ora la dimensione si fa decisamente diversa. L'intimità è il fulcro. E il duo pare volercelo spiegare accompagnandoci per le vie della dolcissima "Castles And Caves".
Piccoli bozzetti impressionisti vengono tracciati da un organo in "Listened On", mentre il breve (e banale) pop-country di "Wind Me Up" sa di muffa quanto pochi altri. E dispiace davvero trovarsi di fronte al teatrale incedere di "Jump In", che non fa altro che rafforzare le perplessità, precedentemente esposte, o quando ci si imbatte in quelle note zingare di "Heaven" che toccano i precordi dell'animo.
La qualità generale, seppur non pessima, viene messa in costante pericolo dall'ombra del "già sentito" e i dubbi di scopiazzature varie si rincorrono. Duole il cuore a sentire dischi del genere. Dischi tutt'altro che censurabili e/o stroncabili, ma che paiono lasciati al loro destino, incompiuti.
(21/05/2007)