James Yorkston è un cantautore folk che si è rilanciato in non più giovanissima età.
Dopo varie esperienze elettrificate, decide di appendere il distorsore al chiodo, d’imbracciare la chitarra classica, e di produrre un paio di demo che arrivano fin nelle mani di John Martyn. La preparazione del debutto su lunga distanza comincia con le prime prove con una band-spalla, gli Athletes, e la conseguente attività live. Nel primo Ep ("St. Patrick"), e nel primo album "Moving Up Country" (Domino, 2002) risuonano rispettosi (ma evidentissimi) echi di folk britannico tradizionale, pur nel loro viraggio - operato soprattutto dal produttore Simon Raymonde dei Cocteau Twins - allo stemperamento onirico. "Just Beyond The River" (Domino, 2004) prende in considerazione persino Four Tet, a riprova dell’impaziente (ma paradossalmente rallentata) evoluzione del songwriter verso sonorità sempre più emotive.
Forse anche grazie alla parallela attività con la Fence, "The Year Of The Leopard" - terzo album di Yorkston - riesce a togliere buona parte delle remore e a puntare tutto sull’atmosfera. Quattro i gioiellini della nuova opera. Anzitutto c’è "Steady As She Goes", riff arpeggiato Iron&Wine con concertina in contrappunto barocco e batteria jazzy in direzione di un chorus luminescente e altamente lirico, forse il miglior punto d’incontro tra produzione e scrittura dell’intero album. "Orgiva Song" è invece basata su una frase complessa e fratturata (e toccante) di piano elettrico, arricchita in senso melodico dal canto flemmatico e amplificata da incroci di polifonie timbriche. "5 A.m." si basa sull’alternanza di fisarmonica lungamente sospirata nella strofa e un chorus che si libra ampio e quasi ambientale nella sua serenità estatica, ma "Don't Let Me Down" è quasi anemia alla Tim Buckley posta in catarsi post-apocalittiche, in amplissime aure meditative, in registri d’inquieto canto di ringraziamento.
Apertura e chiusura del disco, rispettivamente "Summer Song" e "Us Late Travellers", sono invece emblematici del modus operandi dell’attuale Yorkston: ricami weird-folk (a tratti Newsom, a tratti Banhart), arpeggio che riporta a Eric Andresen, serie di strofe con canto che innalza la cantabilità delle sue trame di chitarra e concertazioni (legni, archi, tastiere) come pura emanazione emotiva. Così dicasi per la title track, duetto chitarra-voce con finale entrata in scena dei fiati esilissimi, e per "I Awoke", sonata folk-cameristica con nuovo arpeggio alla Samuel Beam (circa "Our Endless Numbered Days"), accordi solitari di piano e accompagnamento minimale di batteria. Completa il ciclo la marcetta a base di riverberi luminosi di "The Brussels Rambler".
Quasi scontato dire che la parte da leone è interpretata dagli arrangiamenti (ora cameristici, ora sognanti, ora dosatissimi al limite della supponenza) di Paul Webb, già bassista dei Talk Talk e già Rustin Man a fianco di Beth Gibbons, voce dei Portishead, in "Out Of Seasons" (Go Beat, 2002). Le canzoni, così così; spiace dover rilevare qualche forzatura di troppo (tipo il pattern di marzapane merrittiano di "Woozy With Cider", a firma Reporter, sciupato dal chiacchiericcio slacker-decadente del canto). Se cercate la pratica risposta allo strapotere di Bonnie "Prince" Billy, è il disco che fa per voi. Altrimenti ci si sentirà un Nick Drake della transizione "Bryter Layter"-"Pink Moon" in preda a una vaga premonizione di "Laughing Stock", nel bene e nel male.
22/11/2006