Dopo soli sei mesi torna a splendere il diamante più brillante di casa Asthmatic Kitty. La luce emessa dai suoi spigoli questa volta è di natura artificiale, infatti, la celebre corista della piccola orchestra Stevens ripiomba sul mercato con un album improvviso (e inatteso) di remix, alcune delle quali in versione doppia, dei pezzi inclusi in "Bring Me The Workhouse".
Riproporre in così poco tempo una versione alterata del proprio esordio è senza dubbio il segno inconfutabile di una viscerale irreprensibilità artistica. Nonostante non sia lei a modificare le dieci tracce del disco (ne manca solo una all’appello), va apprezzato fin da subito il coraggio di tale proposta. Non sappiamo con esattezza quante siano state finora le copie vendute del primo lavoro della Worden, ne possiamo dedurre che questo disco è il tentativo estremo di rinvigorire un insuccesso, possiamo solo affermare che l’esordio è stato discreto, uno dei tanti che ogni anno lasciano tante belle speranze per il futuro, un ibrido cantautorato ben gestito, melodie soul, folk, rock, armonizzate briosamente dalla lirica di stampo classico della piccola Shara.
Appena entrati nella dancefloor privata, notiamo una melanconica "Golden Star" stravolta da un tiepido beat hip-hop in crescendo; lo stravolgimento è opera del talento di casa Anticon, quel Brendon Whitney, aka Alias, membro visionario del circolo alternativo della new school . Pochi istanti ed ecco subentrare gradualmente la nuova andatura di "Workhouse" (Jeff Mclwain aka Lousine alla console): un remix che lascia il tempo che trova, mentre la prima versione di "Freak Out" strizza l’occhio alle digressioni rapaci di James Murphy con discutibile presunzione, sfiorando vertici irritanti nella coda pseudo-Dfa di chiusura.
L’irriconoscibile "Disappear" di Stakka, invece, è il primo centro dell’inaspettata rivisitazione: esotismo dark da ultimo imperatore e dispersione vocale da angelo ferito tratteggiano con delicatezza i bordi di un restauro esponenzialmente superiore all’originale.
Il messicano Murcof, dal canto suo, va decisamente oltre, realizzando un vero e proprio patchwork digitale di tutte le incongruenze passate, stratificate ora in un vortice di dissonanze magnetiche; in sostanza la nuova "Dragonfly" assume una forma tutta nuova, nonostante la stoffa sia rimasta sempre la stessa.
"We Were Sparkling" e "Something Of an End" sono rimodellate con la stessa tecnica, condite nella stessa salsa glitch, tra minimalismi elettronici di odierno abuso indie e stop and go timidamente accennati in lontananza. "Gone Away" viene letteralmente risucchiata da David Michael Stith, posta in un frullatore e fatta girare al rallentatore, fino a sembrare un vecchio carillon.
In definitiva, l’alternanza confusa di ottimi remix e pessime mescolanze caratterizza l’intero lavoro, conferendogli un sapore dal retrogusto agrodolce.
Forse "Tear It Down" è solo un piccolo preavviso della mutazione in atto dell’ex matricola Shara Worden, quasi a segnalare che il prossimo disco con materiale inedito verrà realizzato negli ambienti più disparati, in concomitanza con le variegate passioni della nostra giovane fanciulla, tra aule di conservatorio e piste da ballo.
(15/02/07)
15/02/2007
1.Golden Star (Alias)
2. Workhorse (Lusine)
3. Freak Out (Gold Chains Panique mix)
4. Disappear (Stakka)
5. Dragonfly (Murcof)
6. Magic Rabbit (Alfred Brown)
7. Freak Out (DJ Kenny Mitchell REWIND 93REMIX featuring nimnomadic)
8. We Were Sparkling (Haruki)
9. Something of an End (David Keith--NC47)
10. Gone Away (David Michael Stith)
11. The Good and The Bad Guy (SiameseSisters)
12. Gone Away (Strings of Consciousness)
13. Disappear (Wheat to Whiskey mix byCedar AV)