Ripubblicato in una versione deluxe con un mini-cd dal sapore natalizio, l'album dei Glasvegas ricattura l'attenzione della critica offrendo la possibilità di potersi esprimere senza essere coinvolti dal clamore emotivo che accompagnò la pubblicazione dell’esordio del gruppo scozzese.
Sulla nuova scoperta di Alan McGee sono state scritte innumerevoli e frustanti considerazioni che hanno compromesso il successo oltre i confini inglesi del gruppo: post-Oasis e post-Jesus & Mary Chain sono i due appellativi che lo hanno accompagnato.
Il mare di critiche e di idiozie che ha cercato di stemperare il loro successo non riesce ad annullare la mia ammirazione per i Glasvegas, ennesimo esempio di band destinata a segnare una generazione, pronta a identificarsi nelle loro possenti e vigorose canzoni.
I collezionisti hanno comprato a cifre iperboliche i primi sette pollici del gruppo, cui ha fatto seguito l'album, che si presenta come una raccolta di successi arricchita da un insieme di gradevoli raccordi destinati a dare una continuità progettuale a un repertorio ancora in formazione. E il risultato finale non delude le attese.
Non è lecito chiedere a un gruppo come i Glasvegas toni intellettuali o impegnati, l'immaginario a cui attingono è un mondo musicale dai profumi sixties in cui confluiscono il surf dei Beach Boys, il country degli Everly Brothers, il rock 'n' roll, il pop-soul di Dion & The Belmonts, tutto pressato da un muro del suono degno di Phil Spector.
Straordinariamente lirico, il disco non mostra punti deboli: i singoli sono di elevata caratura, "Geraldine" e "Daddy's Gone" non perdono l'impatto nonostante siano ormai familiari, anzi, nel contesto si ha il tempo per elaborare i testi che non mancano di pregevoli risvolti sociali, le armonie doo-wop unite a suoni noise-indie-pop creano una cascata di note la cui freschezza sembra non avere scadenza.
L'apertura, affidata a "Flowers & Football Tops", è notevole per energia e lirismo, sogni e incubi confluiscono nel refrain flower-pop, il canto seduce fino alla citazione della cantilena di "You're My Sunshine".
Altro momento ricco di deja-vu è il piccolo interludio melodico di "Stabbed", costruito sulle note della "Moonlight Sonata" di Beethoven, sulle quali si distende un melodrammatico racconto di cuori infranti e illusioni proletarie.
È musica che nasce dalla vita quotidiana, senza intermediazioni sociali né particolari pretese artistiche. I Glasvegas emozionano attraverso un sound che non perde mai i connotati di un rock 'n' roll energico e sanguigno, creando una serie di canzoni brillanti.
Non sono i singoli il meglio di quest'album, come qualcuno ha sostenuto: ascoltando "Lonesome Swan" e "Polmont On My Mind" si resta stupefatti dalla capacità del gruppo di modernizzare il rock 'n' roll con elementi melodrammatici a tutto vantaggio dell'emotività delle canzoni, peraltro sapientemente prodotte da Rich Costey.
Anche il loro sconfinamento nel manierismo pop in "It's My Own Cheating Heart That Makes Me Cry" è perfetto, mentre la magia della conclusiva "Ice Cream Van" seduce e invita al riascolto. La loro creatività non si attenua neanche nel bonus disc che rilegge alcune canzoni natalizie senza tradire le loro peculiarità stilistiche.
Questo è uno dei più genuini album di rock 'n' roll degli ultimi anni. I Glasvegas hanno la consapevolezza di essere una spanna al di sopra dei molteplici gruppi pop salutati come "next big thing" - questo ve li farà amare od odiare, ma la loro bravura è reale.
24/01/2009