Reduce da mille esperienze di vita, variamente romanzate tra estro girovago e formazione accademica, comunità e reclusione (la sua famiglia fu poi anche membra del culto The Holy Order of Mans) e forte oggi di una band d'accompagnamento che conta quindici elementi ("...of loose-limbed artists, bohemians, actors, perverts and degenerates..."), la Grimm sfoggia uno stile di scrittura eclettico e vivo e che forgia una forma-canzone intensa, impulsiva e primordiale, minimale e tormentata, quasi da pamphlet.
Attraverso questa musica ci si cala e ci s'abbandona in un'utopica, sibillina e grezza dreamland di folk astrale, dalle diverse anime. Un abisso scintillante e oscuro, scarno e lacerato, coi ritmi e le tensioni che sempre accolliamo all'etichetta di Michael Gira ("pigmalione" e co-produttore del disco).
In questa vivida fuga dal mondo in cui si è assieme osservati e osservatori, si apprende e ci si abitua a una libertà stilistica maliarda e dolorosa. Una fiamma brilla afflitta tra speranza e sofferenza, tra poesia e violenza, tra baruffe nevrotiche e bisogno di annullarsi nella folla. È tutto un proscenio di amore devoto, d'indole indifesa e istinto repulsivo; sfrenato tra inni religiosi, rituali e simbolismo ("Durge", "Be My Host", "Anger In Your Liver", "How To Catch a Lizard").
In "Parplar" il più naturale e isolato istinto acustico soul-blues georgiano, veste e talamo delle estrose e variopinte interpretazioni di Larkin, danza e sposa colorite accentuazioni strumentali trascendendo il puro gusto revival.
Gli impasti di strumenti più disparati (dalle corde ai fiati, agli archi-viola, banjo, fisarmoniche, harmonium...), le soggioganti contaminazioni tonali assieme all'estro calembour della protagonista, ritemprano la rigogliosa tradizione folk appalachiana e le influenze europee, fermi riferimenti del progetto Grimm-Gira.
Si allestiscono tensioni passionali in tinta teatrale e decadente (dall'excursus corale marziale "Ride That Cyclone", passando per sincopi e sfumature poliritmiche georgiche in "My Justine" e "Fall On My Knees", sino alla sciarada circense "Dominican Rum") i cui ibridi stilistici, privati di pathos inopportuno o pastorizzato, infusi di travaglio, di fragilità e lirismo malinconico, allertano ogni turbamento, drappeggiano ovunque di disagio esistenziale.
(02/12/2008)