A un anno esatto dalla pubblicazione del loro secondo album, “Afraid To Dance”, che li ha definitivamente consacrati come una delle realtà italiane più interessanti e apprezzate a livello internazionale, i Port-Royal proseguono il loro percorso guardandosi indietro e affidando i brani del debutto “Flares” a importanti artisti di origine e formazione diversa, che li rielaborano ognuno secondo il proprio stile e la propria sensibilità.
“Flared Up”, infatti, oltre a essere una delle ultime uscite programmate per l’etichetta Resonant prima della (auspicabilmente solo temporanea) interruzione delle sue pubblicazioni, altro non è che una raccolta di remix di “Flares”, la quasi totalità dei cui brani viene sottoposta a rimaneggiamenti che, senza alterarne le caratteristiche strutturali, da un lato sono volti a enfatizzarne le componenti ritmiche, dall’altro a renderne più liquide e ovattate quelle ambientali.
Già la scelta degli artisti chiamati a questi remix testimonia tanto la versatilità dei brani originali quanto la stima diffusa che i Port-Royal hanno saputo sin qui guadagnarsi con i loro lavori, se è vero che accanto a nomi validissimi ancorché noti quasi solo in sotterranei ambiti elettronici (è per esempio il caso di D_rradio, F.S. Blumm e Skyphone) partecipano a “Flared Up” artisti che non necessitano certo di presentazioni, quali Dialect, Stafrænn Hákon e Ulrich Schnauss.
Dopo la lenta e notturna intro (nonché unico brano inedito) “Mohn f/r Port-Royal”, solcata da soffici suoni opera del compositore elettroacustico tedesco F.S. Blumm, “Flared Up” è tutto un susseguirsi di ritmi frammentati e più serrati rispetto a quelli degli originali, coniugati con sonorità eteree e sognanti, particolarmente evidenti nel remix ad opera di Manual, negli splendidi accenti nordici sottolineati nella versione di Stafrænn Hákon di “Spetsnaz” e nella liquida aggiunta vocale di Judith Juillerat su “Jeka”.
In coerenza, poi, con l’originaria matrice post-rock della band, non mancano un paio di episodi in cui subentrano le chitarre a conferire sonorità più concrete e oscure a due delle parti in cui si divideva il brano “Flares”: una viene qui riletta dai bravissimi D_rradio attraverso suoni fluidi e in chiave epica e ariosa al tempo stesso, mentre l’altra, molto affine alla precedente, viene piegata dagli inglesi Televise a una forma post-shoegaze in cui chitarre e batteria prendono il sopravvento in un crescendo coinvolgente.
Se a tutto ciò si aggiungono le divagazioni folktroniche di Minamo, il bilanciamento tra territori densi di oscuro movimento e sonorità acustiche di Dialect e le lente stratificazioni pianistico-atmosferiche di Ulrich Schnauss, risulterà ben chiaro il quadro di un disco che, lungi dal poter essere sospettato di costituire un mero riempitivo utile solo a tener vivo il nome della band, offre concreta e piacevole testimonianza della versatilità delle sue composizioni, rivelandone proprio attraverso queste riletture le potenzialità già riscontrabili in “Flares” e in seguito sviluppate in “Afraid To Dance”. E, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la qualità degli artisti che hanno prestato la loro collaborazione a questo lavoro e il tenore dei contributi stessi dimostrano, se ancora ve ne fosse bisogno, la credibilità artistica internazionale meritatamente acquisita dalla band genovese.
07/04/2008