Ascoltando e sostando tra le pieghe del loro “Rascalize”, si intuisce come gran parte dell’immaginario piacevolmente inattuale dei Puppets sia farina del sacco di Miles Kane, così come il gusto per arrangiamenti dal tono volutamente retrò e magniloquente. Certo, a Kane serviva un autore più bravo di lui nello scolpire ritornelli dal profilo aggraziato e trame melodiche capaci di irretire nelle loro finissime ragnatele le fantasie dell’ascoltatore, e tale ragno tessitore non poteva che essere Alex Turner, solo così ci si può spiegare il connubio completamente riuscito dei Last Shadow Puppets. Ma l’idea di costruire un perfetto contenitore di reminiscenze sonore anni 60, quella apparteneva in larga parte all’ambizione autoriale di Miles Kane.
Con caschetti limati alla Small Faces, aplomb welleriano e il bullismo canticchiabile dei Beatles incastrati tra il periodo amburghese e le revolverate premonitrici di “Revolver”, i Rascals hanno infilato nella loro valigetta delle meraviglie tubetti di psichedelia tascabile al profumo di Creation e Kaleidoscope, povertà e minimalismo garage (tra Seeds, Music Machine, e, a tratti, Monks), rivestendo il tutto in un amore piuttosto ostinato per un suono “d’ambiente”, alquanto cinematografico, rimasticando Gainsbourg, Walker, Bacharach e Spector. Ne è uscito fuori un album sorprendentemente notturno, anzi: northern, con il bavero del cappotto tirato ben su e i pugni stretti nelle tasche, un disco freddo, invernale, infarcito di vicoli umidi, fluttuanti reveries cinematografiche che spesso si trasformano in incubi gotici, fulminei fotogrammi in bianco e nero attraversati da un suono piuttosto scarno, vuoto. Come dei Last Shadow Puppets asciugati di tutti i barocchismi orchestrali, ridotti alla pura armatura di un nudo calcestruzzo scheggiato e tagliente, al di là degli strati spessi di maquillage decorativo e di stucchi troppo appariscenti.
La scrittura dei brani, ancora non del tutto sbozzolata, emerge nella sua nitidezza dopo ripetuti ascolti e, sebbene la strada da percorrere sulla via del perfezionamento sia ancora piuttosto lunga, rimane l’impressione che il gruppo possieda la giusta attitudine e sufficienti ambizioni compositive per portare la propria ricerca a compimento. Pezzi come “Fear Invicted...” o “Does Your Husband...” sono già segnali importanti.
Per il momento ci limitiamo a constatare come i Rascals rappresentino oggi una della reincarnazioni più filologiche (e il cerchio si chiude) del Merseybeat, un sottogenere che ha conosciuto nella sua storia un ciclo ininterrotto di morti e palingenesi sotterranee. La speranza è che il discorso progredisca oltre quello che gli illustri concittadini Coral e Zutons hanno già cercato di farci sentire.
(21/12/2008)