Mentre camminavo fra i fuochi dell’Inferno, deliziato da quei godimenti del Genio che agli Angeli appaiono come tormento e insania, raccolsi alcuni dei loro Proverbi; pensando che così come i detti che s’usano in una nazione ne designano il carattere, allo stesso modo i Proverbi dell’Inferno renderanno palese la natura della sapienza Infernale meglio di una qualsiasi descrizione di edifici o abbigliamenti.”
(da: William Blake – “Marriage of Heaven and Hell”)
Mathias Kom, ideatore, frontman e talora anche unico componente di The Burning Hell, ha una passione smisurata per l’ukulele. Una prima associazione mentale con le calde note che si sprigionano da questa chitarra in miniatura potrebbe far pensare a una festa al tramonto su una bianca spiaggia hawaiana, con tanto di danzatrici di Hula adorne di corone di fiori. Niente di più lontano da tutto ciò.The Burning Hell è una folk band di stanza a Peterborough, in Canada, che ruota attorno alla personalità eclettica del suo brillante deus ex machina.
“Happy Birthday”, ultimo lavoro di The Burning Hell, è il risultato della combinazione dei testi acuti partoriti dalla mente di Kom con sonorità variegate che oscillano tendenzialmente tra due estremi: da un lato un songwriting languido, talora luminoso e sognante (“Municipal Monarchs”), più spesso rabbuiato o velato di tristezza (“Happy Birthday To The End Of The World”, “Remote Control”); dall’altro un travolgente noir folk-rock (“Grave Situation Pt. 1”), che assume di frequente sfumature cabarettistiche (“Grave Situation Pt. 2”, “The Second Cigarette”) per poi giocare con un country spolverato di bluegrass (“General Electric vs The Imperial Moth”).
Una caratteristica che salta subito all’orecchio è la vivace alternanza tra “serio” e “faceto”, evidente già a partire dagli arrangiamenti, dove alla struggente grevità del violoncello (“Dinosaurs”, “Happy Birthday to The End of The World”) e alla compostezza dell’accordion (“Everything You Believe Is A Lie”) fanno eco la colorita baldanza della tromba (“Grave Situation Pt. 2”) e le ammiccanti lusinghe del banjo (“General Electric Vs The Imperial Moth”). Nella coralità d’insieme l’ukulele di Kom sembra quasi perdersi, per riaffiorare nei momenti in cui la marea strumentale si dirada (“Dinosaurs”, “Goodbye Ukulele”).
La voce di Mathias ha la profondità oceanica di Micah P. Hinson, la plasticità teatrale di Stan Ridgway e nuvole della cupa malinconia di Ilya Monosov. In più occasioni Mathias è accompagnato da un cantato femminile: che si tratti della voce limpida di Mary Jane McCallum (“I Guess I’ll Be Seeing You”), di quella conturbante di Jill Staveley (“Everything You Believe Is A Lie”) o di quella appena ruvida di Jenny Mitchell (“Municipal Monarchs”), l’effetto complessivo è in ogni caso un piacevolissimo contrasto, che se con Jenny Mitchell richiama alla mente il duetto Dawson-Green e con Jill Staveley ricorda le atmosfere bucoliche tratteggiate dai coniugi Peris, nel caso di Mary Jane McCallum sembra quasi catapultare l’ascoltatore indietro di trent’anni, magari in un grottesco remake di “Grease”.
La ciliegina sulla torta (di compleanno) è data dai testi, caratterizzati da una ironia pungente, come nello scambio di battute di “Everything You Believe Is A Lie” (“We’ll never get married / I’m dating your sister”) o come nella dedica ai “dinosauri” del rock da bar (“Here’s to all the dinosaurs that play guitar in dingy bars and hotels / You never made the cover of the Rolling Stone but you cover Rolling Stones songs very well”). A tratti questa stessa ironia evolve, raggiungendo picchi di lucido sarcasmo, meravigliosamente esemplificato dall’intero testo di “Happy Birthday To The End Of The World”.
La penna di Mathias spazia irriverente su qualsiasi argomento, dalla battaglia tra natura e progresso a quella tra ateismo e religione, dalle problematiche sociali alla musica, dall’amore alla morte. Quest’ultima, in particolare, rappresenta un tema piuttosto ricorrente, che tinge di nero i brani raggiungendo il suo apice in “Grave Situation”, una sorta di rivisitazione in due tempi del burton-iano “Corpse Bride”, dove tradimento, amore e morte si avviluppano in un melodrammatico abbraccio.
L'album si conclude con “Goodbye Ukulele”, una delicata ninna nanna sulle cui note i diversi strumenti vengono gentilmente congedati uno dopo l'altro da Mathias, che si lascia quindi cullare dal solo picking dell’ukulele.
Giudicando dal titolo (e dal testo), “Goodbye Ukulele” sembrerebbe una canzone di addio, ma non ci si lasci trarre in inganno: l’atmosfera complessiva del brano indica in modo piuttosto inequivocabile che si tratta in fondo della (ennesima!) professione di un quotidiano affetto, o ancora meglio di una amorevole canzone della buonanotte. E allora, nell’attesa che il buio stellato si riaccenda al tepore mattutino e che la magia di “Happy Birthday” possa nuovamente ripetersi al risveglio, non possiamo fare altro che unirci alla voce di Mathias, sussurrando insieme a lui: goodbye, ukulele, goodbye.
22/09/2008