Amarsi e partorire canzoni, avvolti all’unisono in un solo respiro, fino a disperdersi in un incrocio di sguardi, travolti da una sintonia che cresce, irrobustendosi al tambureggiare dell’uno, addolcendosi al cospetto dell’incantevole richiamo vocale dell’altra.
L’ennesima Ran a donarci tre onde in più di quante la mitologia nordica possa suggerire, e proprio come la regina delle Ondine, la nuova sirenetta svedese legge il futuro, armonizzando il tutto senza rinunciare all’imprevisto stilistico di turno. Nella realtà i nostri Ran e Aegir sono Mariam Wallentin e Andrea Werliin, e provengono dall'accademia di musica e teatro di Goteborg.
A contraddistinguere il tessuto sonico del duo, è una formazione di stampo propriamente classico, alla quale va sommata una robusta predilezione verso un approccio jazzy & bluesy. I due cercano di destabilizzare l'ascoltatore con meravigliose pop song batteria-voce, adagiate su sfumature acustiche delicate, vivaci, di sperimentale candore.
Lei ricorda molte fanciulle inquiete del firmamento rock (e non solo), a tratti sembra di ascoltare la nipotina di Patty Waters che gioca a fare la nonna impugnando il microfono con la stessa delicatezza, ponendo come motore centrale la batteria, sempre ben calibrata dall’amato Andrea, ora gentile e carezzevole, ora confusa e clamorosamente sanguigna.
“Heartcore” appare sugli affollati schermi svedesi verso la fine del 2007, qualcuno se ne accorge e ne resta totalmente travolto, qualcun’altro decide di trasportarlo oltre i confini, assicurandoci uno degli esordi più intensi dell’anno corrente. Si parte dall’origine, dal blues. Mariam strappa le sue corde con timidezza, un’ugola caldissima che affonda lentamente mentre assumono una forma ben precisa i primi pseudo-fraseggi acustici, stringendo a sé quell’aura soave di trascendenza epica.
La struttura di questo disco non ha coordinate fisse, c’è tutta l’obliquità psych-folk dei tempi perduti (ascoltare “A Story From A Chair” o la xilofonica “Lost Love” e non ricollegare la mente ai parallelogrammi acidi dell’amata Linda Perhacs è davvero impresa ardua); ci si imbatte di scatto nell’immediatezza filo funk-punk (!) (“Doubt/Hope”) che proprio non t’aspetti, o in un’improvvisa trance flower power per sola voce e bacchette (“The Window”), prima che la grancassa prenda possesso dell’asciutta sezione ritmica.
Il momento più alto dell'opera è da ricercare tutto nei tre minuti scarsi di “Nakina”: climax Zen “deturpato” dall’incedere pachidermico del Werliin, con la Wallentin a gironzolar estasiata nel proprio Karesansui estatico (trattasi, se non altro, di un’istantanea contemplativa sui percorsi sublimi dell’amore e dei suoi intarsi meditativi).
“Heartcore” trova il suo maggior punto di forza nell’originale alternanza delle soluzioni adottate. Pur restando ancorati a una modellazione free, i due genialoidi amanti svedesi sono riusciti nell’intento di sovvertire il nucleo di una leggera canzone indie-pop, spostandolo sull’asse percussione-voce con risultati sorprendenti.
Intanto, è già in cantiere la produzione del secondo lavoro, intitolato “The Snake”, in uscita nei prossimi mesi in tutta Europa. Se la stoffa resta la stessa, c’è da azzardare, senza esitazione alcuna, l’immediato acquisto a scatola chiusa.
30/06/2008
1. Pony
2. The way thing go
3. Bird
4. I can’t tell in his eyes
5. Doubt/hope
6. A story from a chair
7. The battle in water
8. The ones that should save me get me down
9. Lost love
10. The window
11. Nakina
12. We hold each other song