I tre anni che separano questo loro sesto album dal precedente "Offshore" sembrano aver tracciato nella storia artistica degli Early Day Miners un solco ben più profondo di quanto avrebbe potuto fare il solo trascorrere del tempo.
Lo si evince da una pluralità di elementi, tanto sostanziali quanto esteriori: già questi ultimi sono sufficientemente emblematici, a partire dalla visionaria sovrapposizione di immagini incongruenti di cui alla copertina e dalle nuove foto che ritraggono la band vestita di tutto punto: i minatori hanno abbandonato le loro camicie a quadri in favore di abiti eleganti e le barbe e i capelli arruffati per acconciature più ordinate.
E in questo caso, il modo di presentarsi è fedele metafora delle trasformazioni intercorse nello stile e nella stessa struttura della band.
Accanto ai due componenti storici - il leader Dan Burton e il bassista Johnny Richardson - la formazione presenta qui le novità del secondo chitarrista John Dawson e del batterista Marty Sprowls, a completare un organico ridotto a quartetto e adesso impegnato in brani espliciti e diretti.
Si direbbe, infatti, che dopo un'intera carriera passata a disegnare paesaggi sonori sfuggenti, agendo su cadenze rarefatte e trame chitarristiche avvolgenti, Burton abbia deciso di divertirsi un po', dandosi a un pop-rock solare e vivace, nel quale tuttavia continuano ad aleggiare alcuni dei tratti peculiari che hanno caratterizzato la produzione della band.
"The Treatment" rappresenta un vero e proprio mutamento di registro, incarnato dal dissolvimento di lentezze e toccanti vortici elettrici attraverso chitarre languide e nervose e tastiere liquide, che sottolineano melodie dall'impatto immediato e un cantato reso etereo anche dai frequenti intrecci della voce di Burton con quella di Amber Webber (Black Mountain).
Un incipit di album come quello di "In The Fire" e "So Slowly" solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile per Burton e soci che, nonostante un certo effetto disorientante, conseguono discreti risultati nel coniugare le abituali pennellate nostalgiche con un più lieve spirito pop e col passo svelto di chitarre sferraglianti e linee di basso insistite. Se la svolta appare da subito decisa, soprattutto dal punto di vista della produzione del suono, la transizione appare invero compiuta a metà; l'impressione è che la band intenda chiudere il cerchio con le sue modalità espressive precedenti, rileggendo secondo tempi più serrati residue dilatazioni e tensioni emozionali, ma finendo altresì per depotenziarne il potenziale di suggestione con un'eccessiva insistenza su ritmiche sorde e monocordi ("The Surface Of Things") o su tastiere dominanti come non mai (nella lunga e ripetitiva "Becloud").
Benché brani quali "So Slowly" e "How To Fall", con le loro trascinanti melodie "radiofoniche", riescano a definire con una certa precisione l'inedita fisionomia che gli Early Day Miners vanno assumendo, nel complesso "The Treatment" lascia la sensazione di qualcosa vagamente represso rispetto all'ampio respiro di una volta, in parte per evidente scelta stilistica, in parte per l'incerto adattamento alle nuove vesti espressive, non ancora padroneggiate in toto.
Non va a tutti i costi rimpianto il passato di una band che pure ha saputo regalare prove di altissimo livello; va anzi compresa questa sua nuova dimensione, nella quale continua a offrire qualche lampo dell'antica classe, soprattutto grazie a una scrittura ancora capace di regalare ballate godibili, adesso pervase non più da dense suggestioni atmosferiche, ma dal tepore assolato di freeway americane, da far scorrere veloci sotto le ruote, sulle ali di chitarre e tastiere mai così serrate.
22/09/2009