Pascal Arbez è tornato. Il cowboy di Dijon è nuovamente tra noi, dopo essersi dissolto per un breve periodo nel nulla, lontano da rave e dissonanze varie. Ma soprattutto dopo quattro lunghissimi anni da quel graffio disco-rock che destabilizzò un po' tutto l'ambiente parigino: dagli ultra conservatori french-touch fossilizzati nei locali più cool della capitale francese, ai devoti del punk più stupido che possiate conoscere. Insomma, negli ultimi tempi erano in molti a chiedersi cosa avrebbe potuto mai combinare in futuro quel pelato dal mixer di fuoco e dall'aria un po' furbetta. Bene. "Flashmob" sterza e azzera il tachimetro, andandosi a schiantare contro un muro di esibizionismo catchy e manierismo electro, abbandonando le ossessioni technoidi e i grezzi frastuoni rock che caratterizzavano l'ossatura del passato.
Stavolta, Arbez pompa come una vecchia maîtresse. Gli bastano poche cose per sedurre la clientela. Cassa dritta, tastierona kitsch e "See The Sea" spicca in volo, libera da qualsiasi velleità o demarcazione pseudo innovativa. "Poison Lips" va ancora oltre: basso ed evoluzione dreamy in coda strettamente Dfa (ops, New York...), leather bar all'orizzonte e gemiti asessuati in rotazione permanente. Il groove distorto di "Still" è un'estasi di captazioni magnetiche, pullulazioni esoteriche ora contorte, ora slegate di scatto da un beat ubriaco, ipnotizzato dal gain.
Ma non è tutta cassa e raspate analogiche. La title track mette in chiaro che la posta è più alta: tra rimpalli ritmici e colate di synth rappresi, si fa strada uno di quei giochini vocali che han fatto la gloria dei due caschi più famosi di Francia. Filtro a manetta e via alla spirale robotica "Mob-flash-mob-flash-mob/ Flash-mob-flash-mob-flash" - i Kraftwerk strizzati in due sillabe e aggiornati allo sfarzo 80s, alla ruffianeria 90s, alla brutalità 00s.
Parliamo poi di "Terminateur Benelux", nota ai posteri (!?) come "ciò che ci fece dimenticare ‘Crescendolls'"? Trama ritmica brasileira, cori e incitamenti di dubbia origine e il synth più spinoso che abbiate mai sentito. E - soprattutto - groove. Qualche trucchetto disco sul charleston nelle sezioni centrali e il tutto è pronto per la beatificazione qui e ora.
Poi, poi. Poi si dovrebbe parlare di ogni altro brano: di quanto è volgare e meravigliosamente fastidiosa "Chicken Lady" (ah, i bei tempi di "Frank Sinatra") o di come "Station Mir 2009" faccia piazza pulita di tutto e riproietti negli abissi retrofuturisti di "Ok Cowboy".
Meglio però lasciar stare le vivisezioni e chiudere di suggestioni. Perché Vitalic è il maestro assoluto della malinconia sci-fi: ogni elemento di "Flashmob" converge verso un'impalpabile nostalgia veterotecnologica. La musica è il rantolo di cavi dismessi da eoni, il tunz-tunz la convulsione di un vecchio cuore elettromeccanico. E le voci emergono slavate, filtrate: fantasmi di un'era passata, persi tra gli scintillii del dancefloor.
(28/12/2009)