"Smog trattava dell'essenza del mondo - campi di forza, entità, tradizioni, personaggi. Bill Callahan racconta com'è essere un uomo in questo mondo. Vi dirò cosa significa essere uomini"
Bill Callahan
Un'umanità "ritrovata" che traspira fin dalla dichiarazione iniziale che introduce il live contenuto nel disco: "We're gonna get right down to business, tonight". Così inizia il viaggio nella batisfera di Bill Callahan, addobbata di luci tepidamente soffuse, che ci portano in un piccolo locale australiano, nel 2007 - quando l'avventura da "mascherato" (sotto lo pseudonimo Smog) del Nostro volgeva al termine.
Dopo la fortunata consacrazione dell'anno passato con "Sometimes I Wish We Were An Eagle", Callahan pare voler ricostruire dall'inizio il proprio percorso di distacco dal mondo più strettamente afferente al cantautorato indipendente, lo-fi, fornendo un prosieguo (pur non in senso cronologico) sempre incentrato sulla sua figura, sul suo crooning vellutato, sorretto da una sezione ritmica decisa e dalla vivacità degli archi. Nonostante si tratti di un live, "Rough Travel For A Rare Thing" suona molto più levigato di altra sua precedente produzione; del fruscio di sottofondo, nessuna traccia. Ne "approfitta" così la Drag City, replicando con un'uscita unicamente in versione Lp la pubblicazione recente di Oldham di un live per appassionati.
"Rough Travel For A Rare Thing" si differenzia sostanzialmente da quel "Funtown Comedown" che rappresentava, per Bonnie "Prince" Billy, un esperimento estemporaneo, il gioco fugace di una sera tra amici. Per quanto il concerto qui rappresentato si concentri, per ovvie ragioni, sulla produzione a nome Smog del Nostro, focalizzandosi in particolare sull'ultima pubblicazione, "A River Ain't Too Much To Love", il live in questione rivela già una sopraggiunta maturità espressiva, soprattutto nell'espressione vocale di Callahan, una capacità di raccontare storie con calore e distacco allo stesso tempo.
Una "pienezza", una vitalità forse mai verificate in precedenza che "Rough Travel For A Rare Thing" ha il merito di lasciar emergere in piccoli ma significativi particolari: si veda ad esempio la sferragliante, festosa riproposizione di "Let Me See The Colts", o la nervosa ironia di "The Well".
Altre volte è il vestito elettrico a dissolversi, in nome di una più marcata aderenza a canoni cantautorali più classici: è il caso di "Held" (da "Knock Knock"), che si trasforma qui in un folk selvaggio, trascinante. Non sfugge che siano proprio le tracce del repertorio anteriore a rimanere maggiormente trasfigurate: al riguardo spicca decisamente la chiusura, affidata a "Bathysphere" (da "Wild Love"). Il beat sintetico viene rimpiazzato da quell'inconfondibile battito rotondo, i raptus chitarristici vengono affidati ai violini, e così una rievocazione new wave si trasforma in una teatrale cavalcata acustica. La mutazione è completata: sboccia in quella remota sera australiana l'erede più plausibile di Leonard Cohen.
25/04/2010