Hi, I'm Johnny Knoxville and welcome to Jackass!"
Knoxville è una città del Tennessee, terza per popolazione dopo Memphis e Nashville. Pensi East Coast, Clingmans Dome, fiumi, verde. E la frase di Johnny Knoxville, originario proprio di quella città e la cui fama deriva dal fortunato programma trasmesso da Mtv, potrebbe tranquillamente precedere la descrizione di questo live. La motivazione, forse banale, è che i signori Fennesz, Daniell (già San Agustin) e Buck hanno davvero piazzato il colpo del ko. Perché allora non citare anche Quentin Tarantino, anche egli originario di lì, che di avversari al tappeto se ne intende?
Ma che cosa è, nel dettaglio, Knoxville? Il 7 febbraio 2009, il trio eseguì una performance praticamente improvvisata (solo qualche accordo di chitarra concordata nel soundcheck) nella città americana, nell'ambito di un festival di musica sperimentale. A distanza di un anno e mezzo la registrazione live viene licenziata dalla Thrill Jockey, immortalando l'opera con una stupenda cover di una magnolia in fiore. Poco più di mezz'ora di rigurgiti dronici, in un clima epico dai contorni da giorno del giudizio. Quattro pezzi nei quali si cavalcano onde lunghissime e ruggenti, sulle quali la chitarra di Daniell inerpica la sua forza d'urto. Il drumming di Buck, ora dimesso ora vibrante, pennella trame sulle quali Fennesz abbozza sostrati celesti.
La chitarra dell'iniziale "Unüberwindbare Wände" procede prima mestamente, in un moto simile a quello delle sei corde di Tom Carter dei Charalambides, poi sfoderando la sua potenza distruttiva in moti non distanti dalle impennate più estatiche di marca Bardo Pond. La psichedelia sulfurea prende fiato negli esordi pullulanti di "Heat From Light", aumentando dolcemente la sua carica emotiva fino alla progressione finale, nella quale un tumulto dissonante invade l'udito, in un fantastico effetto grandeur.
Il magnifico incedere dreamy-gotico (un po' Lycia, un po' Slowdive, un po' Cocteau Twins) di "Antonia" scorre fluido fra caldi riverberi e un lavoro percussivo di Buck assolutamente da incorniciare. E l'onda lunga di "Antonia" funge da prologo al capolavoro finale: "Diamond Mind" parte disordinata e caotica, ma è un caos che preannuncia una tempesta inebriante, con le chitarre di Fennesz e Daniell che si incrociano erigendo un muro celestiale e il drumming che, accompagnando l'epica cavalcata, si spegne tra flebili rintocchi ed effetti.
"Knoxville" è il manifesto lucido e vivido di una performance assolutamente strabiliante. Masters at work. Commenta il disco sul forum
24/08/2010