È sempre un discreto piacere, nonché un necessario obbligo (o capriccio) storiografico tornare a parlare di un personaggio a suo modo unico delle retrovie pop britanniche come Lloyd Cole. Dispiace solo doverlo fare oggi con il pretesto di un lavoro fiacco e insapore come quest’ultimo “Broken Record” (nomen omen ahinoi...). Dopo la raccolta quadrupla di b-sides e rarità edita nel 2009, “Cleaning Out the Ashtrays”, rimpolpata nello stesso anno dalla pubblicazione di un paio di dischi dal vivo registrati a Dublino e Brema, il nostro ha pensato di smuovere un po’ le acque dando alle stampe un lavoro che in definitiva si lascia ricordare quasi esclusivamente per le illustri collaborazioni impiegate in sede di composizione: si va infatti da Joan As Police Woman, passando per i vecchi amici Fred Maher (collaboratore di lungo corso), Dave Derby (già al fianco di Cole nei Negatives) e dell’ex Commotions Blair Cowan.
Il songwriter inglese, da diversi anni stabilmente trapiantato negli Stati Uniti, al pari di un Elvis Costello riveduto e corretto alla luce di un pacato understatement signorile da intellettuale in esilio, sembra aver trovato ormai da qualche tempo un proprio equilibrio stilistico nella dizione pulita e lineare di un folk-pop medio e sin troppo confidenziale, infarcito di stereotipi blandamente americani ai limiti della più pallida stucchevolezza manieristica, che lasciano piuttosto perplessi. A latitare sono soprattutto valide canzoni in cui sia possibile rintracciare la flebile ombra di quel raffinato, colto e sensibile crooner generazionale in bilico tra Morrissey, Scott Walker, Roy Orbison e Burt Bacharach, in grado di regalare, in compagnia dei Commotions, almeno due album assolutamente significativi come “Rattlesnakes” del 1984 e “Mainstream” del 1987.
“Broken Record” offre all’ascoltatore la grafia lievemente nostalgica e crepuscolare di piccole cartoline country-folk gualcite, nelle quali a dominare è la mezzatinta sbiadita di una vena compositiva prevedibile, bolsa e rattrappita, che diluisce il proprio indebolimento senile nel tono controllato e gentile di piccole ovvietà musicali. A salvarsi sono alcuni modesti episodi come “Oh Geneviève”, “Double Happiness”, “Writers Retreat” o “That’s All Right”, in cui, a tratti, traspare ancora, come un lampo fuggevole, qualche sprazzo vitale di quel piccolo grande interprete dell’indie-popinglese anni Ottanta, ancor oggi oggetto di un culto tanto sotterraneo quanto trasversale. Gli album di Cole continuano infatti a entrare regolarmente (e non certo per caso) nella top twenty svedese e gli scozzesi twee-poppers doc Camera Obscura hanno scritto nel 2006, quasi come un simbolico passaggio di testimone, la fortunata "Lloyd, I'm Ready to Be Heartbroken" in risposta alla sua celeberrima hit "(Are You) Ready to Be Heartbroken?". Tutti elementi che fanno guardare con simpatia e benevolenza del tutto particolari al buon Llloyd, a patto però che torni al più presto a spezzarci il cuore come soltanto lui (e pochi altri) hanno saputo fare.
07/11/2010