Anche se la compattezza di un disco come “Drenched Lands” resta ancora insuperata, è innegabile che ogni album dei Locrian proponga sempre qualche novità più o meno rilevante. Se il precedente (e, comunque, poco riuscito) “Territories” si era spinto verso sonorità più oscure e “profonde”, con “The Crystal World” (titolo che rimanda all’omonima novella di J.G. Ballard) André Foisy (chitarra e basso) e Terence Hannum (synth, voce, elettronica) – cui, nel frattempo, si è unito Steven Hess (percussioni, elettronica) – tornano al clima plumbeo e claustrofobico delle “terre inzuppate”, risollevando in parte le quotazioni di questo progetto di Chicago.
Riecco, dunque, un suono smisurato, addirittura carico, in “At Night’s End”, di om dilatatissimi che sostentano un incedere algido e mestamente trionfante. Oltre il ronzio subsonico di “Triumph Of Elimination” si agita una pletora di rumori e urla disperate, che fanno pensare a uno Gnaw Their Tongues smagrito. Lo stesso ronzio lo ritroviamo all’inizio di “Pathogens”, ipnosi angosciata con ritmica in andirivieni, che potrebbe essere la loro versione “A Saucerful Of Secrets”… Un suono che si stratifica lentamente, nel quale il contributo di Hess si fa sentire tra ghirigori di synth che sbilanciano oltremodo la percezione e percussioni assortite.
Il carattere evocativo di questa musica (evidente anche nella progressione melodica in chiave fusion, vicina a certe cose dei primi La Otracina, del brano eponimo) risulta, dunque, amplificato e un brano come “Obsidian Facades” sta lì a segnalarlo. Nella sua tempesta radioattiva, le urla filtrate di Hannum creano un ulteriore piano di percezione, finemente lavorato fino a dislocare l’attenzione verso i rintocchi pianistici del finale che, in ultima analisi, rappresentano il momento più commovente dell’opera. Il continuo rinnovamento del suono porta, poi, i Nostri a immaginare un duetto per chitarra acustica e voci fantasmatiche come introduzione per l’epica e tormentata (e ritornano quelle urla, ancora più strazianti…) di “Elevations and Depths”, chiusa dal suono desolato dell’accordion.
Presente solo nella versione cd, “Extinction” occupa un intero secondo disco con i suoi 54 minuti scarsi di pennellate cosmiche, minimalismi chitarristici che s’avvitano intorno allo sciamare degli asteroidi, interminabili “respiri” siderali, maestose vampate di radiazioni catastrofiche, flussi debordanti di urla elettronicamente filtrate e deformate.
Disco sicuramente affascinante, questo "The Crystal World", ma la cui capacità di impatto è intaccata dall’eccessiva durata o, quantomeno, da un rapporto tra "vuoti" e "pieni" non sempre ben bilanciato.
24/12/2010