"Abbiate un po' di fiducia nella gente", recita il titolo del singolo di lancio di "Flashbacks": di questo spirito dolcemente accomodante e ottimista è permeato il terzo lavoro dei Lodger, band di Leeds capitanata da Ben Siddall. "Flashbacks" è un album pop senza pretese o sovrastrutture, con cui si riesce ad avere una familiarità immediata. Rispetto al suo predecessore "Life Is Sweet", infatti, il nuovo lavoro risulta meno patinato e punta a ritrovare una certa indifesa emotività, caratterizzata da quei nervosismi tra Orange Juice e Housemartins che li contraddistinguono ("Nothing's Impossible") fin dai tempi del debutto di "Grown-Ups". Dove "Life Is Sweet", che pur si distingueva per i brani di impatto, a testimonianza del solido istinto melodico di Siddall, risultava penalizzato dalla mancanza dell'irruenza e della genuinità che distingueva l'esordio, "Flashbacks" invece è caratterizzato da una naturalezza e una semplicità che ne fanno un lavoro al tempo stesso ruspante e malinconico: le melodie rimangono immediate e cristalline, seppure l'impeto dell'esordio, "Grown-Ups", si sia decisamente placato.
Il timone della produzione viene qui affidato alla vecchia volpe Richard Formby (già produttore di Wild Beasts, Jazz Butcher, Herman Dune, Hood e membro part-time degli Spacemen 3), il quale riesce a orientare i suoni dell'album verso un nitore classical pop che esalta le doti compositive di Siddall.
"Flashbacks", così, è caratterizzato da una spontaneità e un'immediatezza che vengono raggiunte nonostante il suono della band si faccia più articolato e complesso, con l'aiuto di alcuni ospiti e inserti di fiati e archi (si veda la title track, quasi bacharachiana, e "Have A Little Faith In People"): il risultato, in alcuni casi("Time To Wait"), approssima Siddall a Stuart Murdoch e allontana i Lodger dal revival britpop. La definizione della loro musica, a questo punto, non ha più bisogno di prefissi o suffissi.
Le dichiarazioni d'amore di "The End Of The Affair" e "Lost" riportano alla mente scenari di solitudine da sobborgo britannico, e sono ingenue al punto giusto, quasi fossero composte in sella a una bicicletta in un pomeriggio uggioso ("You sleep until 12/ While I'm left on the shelf/ So I talk to myself all the time", da "Lost"). Notevole è l'abilità di Siddall nello scolpire cambi di accordi repentini e disegnare melodie oblique, quasi appese a un filo, come nell'ottima "Welcome To My World", in cui il ritornello evoca con precisione una sensazione di smarrita disperazione tipica dell'adolescenza ("So it's goodbye and farewell/ Welcome to my world, it's hell!").
Tutto sommato, però, si ha, anche questa volta, così come nei precedenti lavori, l'impressione che ai Lodger manchi quel guizzo, quell'intuizione, che riesca a farli decollare definitivamente. I pregi del loro terzo lavoro, infatti, sono in qualche modo anche le loro debolezze: l'ingenuità che confina spesso con una mancanza di maturità, anche compositiva, l'esaltazione di sentimenti e sensazioni cui manca quel pizzico di autoironia per essere presa sul serio. I Lodger finiscono per trovarsi in bilico tra il pop da classifica e l'indie più puro e senza velleità. Ed è in questa indecisione che risiede il fascino e il limite di un album comunque assolutamente gradevole come "Flashbacks".
24/06/2010