Dopo l'ottimo riscontro personale per il suo "He Poos Clouds", all'alba del nuovo decennio Owen Pallett, meglio noto con il moniker di Final Fantasy, licenzia finalmente il più volte annunciato "Heartland" (atteso dapprima per settembre 2007, poi per la primavera del 2008 e infine nel corso del 2009).
Ascoltando questo lavoro, sin dalle prime tracce, appare chiaro perché Pallett abbia atteso tanto. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 2006 e a quel disco incredibile che fu "He Poos Clouds". Sulla scia di quanto aveva fatto Andrew Bird (soprattutto con "The Mysterious Production Of Eggs") e ancor più Patrick Wolf (musicisti ai quali Pallett viene spesso associato), con "He Poos Clouds" si consolidò quel pop barocco, ambizioso e nel contempo volatile, che di lì a poco lasciò un segno tangibile nella musica di consumo di questo primo scorcio di secolo.
Oltre alla facilità ed efficacia delle linee melodiche, che a ragione guardavano tanto agli chansonnier quanto al pop di maniera di Xtc e Divine Comedy, furono gli arrangiamenti di quel disco a lasciare stupefatti; questa dote s'era già rivelata nell'eccezionale lavoro d'arrangiamento svolto per "Funeral" degli Arcade Fire, ma in "He Poos Clouds" quella dote divenne arte, come arte erano quelli di Van Dyke Parks, il primo riferimento che ci sovviene. In tutto ciò, Pallett seppe preservare una personalità di linguaggio davvero straordinaria, segno che l'artista aveva raggiunto già una prima maturità.
Va da sé che dare un seguito a quelle intuizioni non poteva essere certo un'impresa facile, anzi.
Laddove Bird, artista già maturo da tempo, ha preferito insistere e "scavare" tra le pieghe del linguaggio maturato con "The Mysterious Production Of Eggs" (certamente uno dei dischi più importanti del decennio) e laddove Wolf, artista dotato di una personalità più forte rispetto a Pallett, ha approfittato delle intuizioni di "Wind In The Wires" per amplificare a dismisura il suo ego e consegnarsi a un pop tanto ampolloso quanto sterile (verrebbe da dire rococò), Pallett sceglie di implementare il sound del disco precedente. Del resto lo stesso musicista nel corso di un'intervista aveva anticipato: "Suonerà come "He Poos Clouds" ma scritto meglio, registrato meglio utilizzando anche la compressione per ottenere un suono più teso. Niente più robaccia debole! Eccetto la voce. Quella sarà trasandata, come sempre".
Così, anziché farsi accompagnare da un ensemble da camera, in "Heartland" Pallett si fa accompagnare da una vera e propria orchestra, con tanto di organo e legni.
Il risultato di questo enhanced sound è certamente affascinante ma, ahimè duole ammetterlo, perde in spontaneità e persino in efficacia. Infatti, la peculiarità degli arrangiamenti "spigolosi" del disco precedente (giudicati "deboli" dal musicista!) viene in "Heartland" ovviamente smussata dalla corposità del suono orchestrale, per cui l'eclettismo del lavoro fatto con "He Poos Clouds" è inevitabilmente "mediato" e, di conseguenza, meno personale. In questo c'è dell'ironia, poiché Pallett decide con questo lavoro di rinunciare al suo tradizionale moniker derivato dal celebre computer game.
La fattura rimane comunque pregevole, come dimostra il dialogo serrato tra i tremoli nevrotici degli archi e il lento procedere melodico dei legni in "Midnight Directives". Il clamore degli archi in "Mount Alpentine" prelude alla marcia solenne, vagamente grottesca, di "Red Sun No. 5", che testimonia ancora una volta del ricco background pop che anima il linguaggio musicale di Pallett. Il limite di questa scelta stilistica si evidenzia tutto con la successiva "Lewis Takes Action", nella quale neanche un miracolo riuscirebbe a far convivere una canzone sostanzialmente banale (soprattutto nel ritmo) con un arrangiamento tanto elaborato da risultare del tutto fuori registro; il classico topolino partorito dalla montagna.
Le incertezze mostrate in tutta questa prima parte del disco un po' si mitigano nel finale e nella seconda parte. Ma ciò avviene non senza rinunciare ulteriormente a quella dose di "coraggio" che era lecito attendersi da Pallett. "The Great Elsewhere" vive di atmosfere anche più solenni ma questa volta meno autoreferenziali e ci consegna un arrangiamento di grande spessore e una delle due tracce più riuscite del disco. Il finale finisce per essere addirittura cinematografico.
La seconda parte del disco, come si diceva in precedenza, appare più omogenea e coerente nei risultati, sebbene essi finiscano per essere fin troppo prevedibili. "Oh Heartland, Up Yours!" è una lenta beguine, scarna nell'arrangiamento caratterizzato da un pizzicato elementare (in pratica batte sugli accenti principali dello standard) con sporadici ripieni armonici dei legni e sintetizzatori e che nel finale finisce quasi per trasfigurarsi in un lento marziale. Il successivo "Lewis Takes Off His Shirt" è il brano di lancio del disco (e già presente nelle scalette dei concerti di Pallett sin dal 2007) e certamente il brano chiave dello stesso. Il musicista sembra tentare un approccio minimalista al suo universo sonoro, con il synth che richiama Riley, a sostegno di una melodia quasi dimessa, a tratti persino reticente e sommersa via via da un crescendo poderoso dell'orchestra. Il tutto termina con una grande pausa orchestrale che introduce lo scherzo di "Flare Gun", un ibrido tra le spigolature del Morricone de "La Battaglia di Algeri" e le slapstick di Sennett e Chaplin. Il seguito gode sempre di una perizia orchestrale che ha pochi eguali oggi nel vasto e controverso mondo dell'indie: "E Is For Estranged" è una ballata solenne e mesta, straziata dai tremoli acuti, à-la Bernard Herrmann, degli archi; "Tryst With Mephistopheles" segna un nuovo richiamo alla saga di "Dungeons & Dragons", che fu l'ossatura proprio di "He Poos Clouds".
Ironicamente Pallett ci saluta con un interrogativo che è tutto un programma: "What Do You Think Will Happen Now?". Cosa pensate che accadrà ora?
Una cosa è certa, il sasso è stato lanciato nello stagno e Pallett ha l'obbligo morale di portare avanti la sfida. Purtroppo il sound del pop barocco si regge su equilibri sottili e nient'affatto stabili: se da un lato la maestria nel maneggiare il materiale melodico e armonico permette di tentare un approccio più eclettico al pop, dall'altro ogni tentativo, seppur minimo, di implementarne la struttura finisce per snaturarlo e renderlo uno sterile manierismo, finanche grottesco. Pallett non poteva che tentare di "amplificare" il suo personalissimo sound. Ciò gli ha fatto purtroppo perdere in mordente e originalità, anche se la qualità del prodotto vien fatta sostanzialmente salva.
Non so dire cosa potrà accadere ma posso dire cosa spero che accadrà: cioè che Pallett ritorni a focalizzarsi sulla proposta intrinseca della sua musica facendoci rivivere le magie che hanno trovato spazio in "He Poos Clouds", anche se ciò imporrà un approccio meno sinfonico alla sua musica
07/01/2010