Forte del nuovo contratto Universal, Paolo Conte confeziona l'ennesimo disco-stereotipo (ad appena due anni da "Psiche") all'insegna di vaudeville, onomatopee e prestiti linguistici, che però - nel bene e nel male - riesce a suonare contagioso ne "L'orchestrina", il singolo di lancio (svirgolato da un bandoneon circense-romantico).
A parte nuove elegie pianistiche ("Galosce selvagge" e "Tra le tue braccia"), spente danze latinoamericane che fanno leva su complessino jazz e umore da chansonnier, di certo non una novità assoluta ("Massaggiatrice", "Nina" ed "Enfant Prodige"), e nuove imbarazzanti esperienze elettroniche (persino una pulsazione techno in "C'Est Beau", con diverse brutture di arrangiamento) in qualità di sfacciati riempitivi, Conte prende la rincorsa in "Clown", forse l'ultimo - e più debole - anello dei suoi gioielli melodici (da "Hemingway" a "Gli impermeabili" a "Max"), ma specialmente nelle percussioni macabre di "Sotto la luna bruna", in cui campeggia uno stile fieramente Tom Waits-iano, un paludare canoro in forma di collage di voci in cui si staglia il canto esacerbato.
Disco per chi si accontenta (l'ascoltatore di un'opera con tutte le carte in regola, Conte di un compito diligente che non è nè concept nè disco a tema), è una collezione - con le prime canzoni della sua carriera cantate interamente in inglese (dall'autore stesso, senza coriste come per "Pretend Pretend Pretend" di "Paris Milonga"), "Bodyguard For Myself" e la Louis Armstrong-iana "Sarah" - e di nuovo un suo dipinto di copertina che ritrae il soggetto che dà il titolo all'opera (il suo cane passato a miglior vita due anni or sono), che nei momenti migliori contrappunta in pompa magna, o si compiace con garbo; il "Novecento" o l'"Aguaplano" del nuovo corso. Primo albo dalla scomparsa del produttore storico Renzo Fantini (a cui è dedicato).
20/10/2010