Gli incubi psichedelici dei Pink Floyd di "A Saucerful Of Secrets" sembrano rinnovarsi, come d'incanto, nei primissimi secondi dell'enigmatica litania di "Baba Yaga", brano d'apertura di questo secondo lavoro della creatura di Damon McMahon dopo il mediocre "Dia".
"Through Donkey Jaw", diciamolo subito, è un netto passo in avanti, a cominciare da una produzione più curata (d'altra parte, adesso il Nostro è sotto contratto con la Sacred Bones...) e da un sound che, atmosferico e visionario, sembra avergli finalmente dato un percorso da seguire con una certa continuità. I brani si muovono tutti all'interno di un solco psycho-rock oscuro e alieno, con tracce più o meno evidenti di Oriente ("Swim Up Behind Me"), fascinose suggestioni lo-fi ("1985") che pescano direttamente dalla tradizione neozelandese (Alastair Galbraith potrebbe essere il vostro uomo), stranianti polaroid di pop sixties ("Not A Slave", "Sunday", "Good Bad Dreams"), incubi minimalisti ("Jill") e sonnolente trasfigurazioni folk ("Lezzy Head"). Non manca all'appello anche il fantasma del Syd Barrett solista, qui evocato nel rituale folk di "For All", così come non sfugge all'attenzione una "Bedroom Drum" che potrebbe, da sola, indurre a catalogare il Nostro sotto la voce di "bedroom-pop".
Solo nella versione in cd è possibile ascoltare, poi, la velvetiana "Gem Head" e la lunga rivisitazione di "Tomorrow Never Knows", trasformata in un trip art-disco.
Freak fuori tempo massimo, McMahon non ha dalla sua grandi numeri, ma possiede un fascino sinistro che potrebbe catturare molti di voi.
05/10/2011