Non è mica detto che l'entusiasmo sia mal riposto a prescindere. Né, del resto, un plauso generale e subitaneo è sistematicamente nemico del vero talento. Qualcuno cattura l'attenzione anche, se non soprattutto, perché se lo merita davvero. Accade spesso (troppo spesso? Dipende dai punti di vista) nel mondo della musica pop ed è accaduto anche stavolta, puntualmente, con Anna Calvi, giovane cantautrice britannica di evidenti origini italiane.
Figlia di due terapisti specializzati in ipnosi curativa, la ragazza inizia giovanissima a strimpellare la chitarra (che sostiene di suonare come un pianoforte) con qualche amico nel 2006, fulminata sul sentiero di Django Reinhardt e dei padri rurali della chiesa blues. Viene notata per caso a Manchester (di spalla a Johnny Flynn) dal chitarrista occhiolungo dei Coral Bill Rider-Jones, che mette subito in preallarme le vedette sempre all'erta della Domino e il gioco è praticamente fatto. Si vola in Francia, nei Black Box Studio, dove la ragazza può finalmente divertirsi a scalpellare il suo suono sfruttando attrezzature analogiche ancora pregne di pulviscoli anni Sessanta. Brian Eno non resiste e la invita a pranzo per cercare di spiegarle questo invisibile filamento di emozioni purissime che la lega in maniera pressoché indissolubile alla prima Patti Smith. Infine, come chiudendo l'ultimo cerchio simbolico, arriva a coprodurre un pigmalione come Rob Ellis (da qui, forse, l'ossessionante similitudine con PJ Harvey che tutti non dimenticano mai di mettere bene in evidenza, trascurando il fatto che il nostro ha collaborato anche con Scott Walker e Marianne Faithfull, fra gli altri, e non certo per caso).
"Anna Calvi" è un disco che si fatica a non considerare perfetto. All'interno delle sue dieci canzoni, la musicista è riuscita a travasare il disordine virtuoso delle sue idiosincratiche predilezioni, senza mai perderne il controllo. Con una voce turgida come una lastra di ghiaccio stretta attorno a un grumo di sangue bollente, Anna Calvi estrae e volteggia la spada romantica di un flamenco senza fine, marcando il terreno di un duello erotico che non ammette esclusione di colpi. Questa spadaccina e odalisca può sfidare anche il diavolo, più volte invocato, come accade in "The Devil", sorta di scat tumultuoso o rosario intonato a occhi chiusi sopra le fiamme pungenti di una chitarra che barbaglia e si contorce nella danza espiatoria del peccato.
Lo stesso accade in "Morning Light", nella quale a schiudersi è la rosa canina di un canto operistico che si tende tra la Callas ed Edith Piaf (recuperate la sua versione di "Jezebel"), sospeso sull'abisso della tentazione e già sfiorato dalla luce limpida del sublime. E se l'iniziale "Rider To The Sea" lucida il velluto blu e i damascati metafisici di certe desolazioni lynchiane, in canzoni di fattura pregevolissima come "Blackout", "I'll Be Your Man", "Desire" e "Suzanne And I" (da brividi), la nostra, schioccando la frusta di quel demone amoroso che Lorca chiamava duende (parlando soprattutto di corride e di poesia, o della poesia delle corride), annoda l'estro modernista di compositori amati e studiati con passione sincera come Debussy, Ravel e Messiaen alle forme sfuggenti di un blues-rock solenne e liturgico, in odore di Nick Cave (il quale, non per niente, ha subito adottato la fanciulla sotto l'ala protettiva dei Grinderman), così come di certi canti di sirene trascritti con inchiostro di stelle dall'ulisside Tim Buckley. Fino al congedo di "Love Won't Be Leaving", che dal capriccio di un burlesque demoniaco si spalanca poi al canto di ventura di un cavaliere già scivolato verso il richiamo di nuove guerre e nuovi amori.
Sulla scia di un filone noir che, in forme diverse, sta caratterizzando le migliori espressioni al femminile di certo pop obliquo (Zola Jesus, Soap&Skin, a tratti anche Florence + The Machine), anche il debutto di Anna Calvi si segnala come uno degli astri più fulgidi di un nuovo firmamento sonoro in espansione. Forse non durerà. Forse leggiamo troppe riviste (sbagliate). Ma, come dicono i proverbi, chi ama Dio non è contento e chi ama il diavolo è disperato. E, ascoltando le canzoni di Anna Calvi, il diavolo e la sua disperazione non sono mai stati così seducenti.
23/01/2011