Al capovolgimento eponimo, se non altro, ne corrisponde anche uno sul piano musicale e temporale. Con "Hot Sauce Committee Pt. 2", infatti, tornano all'antico, bypassando di netto l'ultimo decennio (peraltro avaro di pubblicazioni: un solo disco più uno interamente strumentale), e riallacciandosi concretamente al sound che li consacrò negli anni 90. La maestria nell'interpolare parti strumentali e raccordi elettronici e sampleristici si conferma il maggior punto di forza del loro hip-hop, la chiave di volta per radicare il crossover fra i vari generi. La produzione, grazie all'immancabile e sempre prezioso contributo del tastierista/arrangiatore Money Mark Nishita e del dj Mix Master Mike, è densa, stratificata, ricca di accostamenti e dissonanze, in contrasto con la stilizzazione spartana e oldschool di "To The 5 Boroughs", mentre la scrittura è orientata all'autocitazione e alla rivisitazione delle fasi musicali più significative della loro carriera.
Si va dagli anthem rap-rock come la groovy e festosa "Make Some Noise", la tagliente e fuzzy "Too Many Rappers" (in una veste nuova rispetto al singolo originariamente pubblicato), il rap-core di "Say It" che rimanda allo schema classico di "Gratitude" o "Sabotage", al funky-dub psichedelico e avvolgente figlio di "Paul's Boutique" ("Nonstop Disco Powerpack", "Funky Donkey", "Crazy Ass Shit"), all'electro più algida e robotica di "Hello Nasty" (le venature funk e gotiche di "Long Burn The Fire", il simil-glitch di "Tadlock's Glasses", "Ok" che sta al crocevia con "Ill Communication"). Un percorso archetipale attraverso l'amalgama che negli anni ha costituito l'immaginario collettivo del beastie-sound, condensato in un formato rap dall'impianto tradizionale, tirato ed estroverso quanto basta. Non mancano divagazioni più pop, come il reggae rilassato e insinuante di "Don't Play No Game That I Can't Win" (cantata da Santigold) o il divertito ripescaggio dai loro esordi hardcore di "Lee Majors Come Again", che cita sia "Sabotage" che i Bad Brains.
"Hot Sauce Committee Pt. 2" è, nel suo genere, un album discretamente riuscito. Una sorpresa, immaginiamo, gradita soprattutto a coloro che avevano amato la band negli anni 90 e che hanno accolto con una certa freddezza le ultime due prove. I Beastie Boys del 2011 non sono, né potrebbero essere, un gruppo nelle corde di chi è a caccia spasmodica di novità. Dopo trent'anni di onorata carriera, d'altronde, sarebbe ingeneroso chiedergli qualcosa di più che mantenere i loro standard dignitosamente alti.
(10/05/2011)