Vasco Rossi. Talmente nazionalpopolare e patrimonio condiviso da diventare oggetto di un video-tape tra il legal e l'illegal, trasmesso nell'ultima puntata di "Report" di Milena Gabanelli. Trasversale ovunque lo si voglia leggere. È un totem. E di contro il totem regala. Regala stornelli da ricantare sotto la doccia o in macchina, da ascoltare con l'i-Pod, mentre si cammina per strada. Sono cose semplici. Devono essere cose semplici. Sono colonne sonore per l'adolescente e per l'operaio, per l'impiegato e il professionista. Deve essere capito da tutti. Difficile quindi che possa sfuggire a certo snobismo che ha accompagnato, accompagna e accompagnerà Vasco, fino a che vorrà salire su un palco. Questione tra l'altro messa di recente in discussione, non si sa se per motivi promozionali o altro.
Il Rossi è ormai oggi un italiano medio, un po' calvo, un po' arrotondato. Sfugge anche alle critiche di chi lo vorrebbe un rocker decaduto, come il Jeff Bridges di "Crazy Heart". Vasco Rossi va bene sempre e comunque. A lui si perdona tutto, qualsiasi cosa faccia, qualsiasi cosa dica. Anche un disco di sole vocali. Evento non tra i più improbabili, peraltro. Del resto nasce e vive in Italia, paese incline al perdonare tutto. Vasco Rossi non è De Gregori, non è Battiato e non entrerà nel sancta sanctorum dei cantautori. Vasco Rossi è un Battisti cresciuto sul finire degli anni Settanta e vissuto nella bambagia degli Ottanta. Vasco Rossi è questo, è San Remo, è nazional-popolare, anche se interpreta il ruolo del "fuori sistema", dell'alternativo, del ribelle. Ma quel tipo di ribelle che alla fine piace anche alla nonna. Un rebel with a cause, insomma. Il maledetto di famiglia, a cui tutti vogliono tanto bene. Un bischero, direbbero in Toscana.
Veniamo ora al disco. Motivo per cui del resto siamo qui. Ad aprire "Vivere non è facile", un mantra da cantare, carne appetitosa per i pubblicitari, rima da regalare a tutti quelli a cui la vita sta girando un po' storta. È la captatio benevolontiae che fattura, bellezza. C'è dentro tutto Vasco: il passo lento, la melodia, l'incedere più ritmato, il passaggio hard-rock, l'assolo di chitarra. Ti ritrovi a casa dopo un paio di secondi dal play. "Manifesto futurista della nuova umanità": titolo fuori dal comune, da manuale noiosissimo, di quelli che vedi leggere ai disoccupati fuori dalle facoltà di Filosofia. Presuntuoso e scherzoso il titolo, il brano presenta interventi vocali a rischio afonia dopo un paio di mesi di tour, ma perfetti per essere intonati dal pubblico astante. Vasco Rossi sa anche questo. Un disco è un tour. Un tour è un evento. E l'evento deve essere coinvolgente.
"Eh... già": l'onomatopeismo totale del cantore emiliano diventa titolo. Trascrizione del Rossi di oggi, formato biografia autoironica. Di un patetismo discreto. Patetismo che il video non cela del resto, con la rappresentazione di un vecchio galletto spelacchiato e impacciato. "Non sei quella che eri" non può essere stata scritta oggi. È un bozzetto sospeso tra il primissimo Vasco e il cantautorato bislacco di Rino Gaetano: che poi il tutto si trasformi in una paccottiglia Meat Loaf dispiace.
Vasco Rossi continua a scrivere discrete musiche e canzoni di musica leggera italiana. Gli "artisti" di zona se li sognano di notte brani del genere. Venderebbero l'anima al primo incrocio. Fatturrebbero un annetto e via. Vasco Rossi continua a farlo da trent'anni. Con estrema naturalezza, tra l'altro. La formula l'ha trovata. Che piaccia o meno è questione di sapori che si predilige gustare. Da queste parti tendenzialmente si ascolta altro. In ogni caso ha vinto lui. Pare anche in pace con se stesso. Bontà sua.
In ultimo una considerazione. Avete presente "Seven Nation Army" quando uscì? Roba da mondo indie allargato. Avete presente cosa successe il 9 luglio 2006? Ecco il Vasco Rossi di oggi è il "Po-Po-po-po-Po-Po-Po". Ci vuole ingegno per tutto, anche per questo.
17/07/2011