Apprezzai molto "Acetylene", l'album del 2005 firmato dai Walkabouts, decani della scena alt-rock americana, una quindicina di lavori alle spalle, in pista dal 1984, scritturati dalla mitologica Sub Pop nel periodo d'oro '89-'94 senza avere la necessità di fare grunge a tutti i costi. i sono mancati tanto in questi sei anni, e mi è capitato di rimettere su quel disco, domandandomi come si potesse mai decidere una pausa così lunga dopo un prodotto del genere, abrasivo al punto giusto, figlio dell'urgenza anti-Bush, con testi di una profondità con pochi uguali nel secondo millennio.
Non che siano stati con le mani in mano: Chris Eckman si è dedicato a un mare di progetti (compreso un disco solista), allargando ulteriormente il proprio spettro d'azione e consolidando la propria reputazione ben oltre i confini degli stili musicali che aveva finora brillantemente frequentato.
Chiaro quindi come sia stata accolta con tripudio dai fan la notizia che il 2011 avrebbe visto nella propria pianificazione di uscite discografiche il ritorno dei Walkabouts.
Qualche timore per la verità si era insinuato: si temeva che i signori potessero ritrovarsi in stallo creativo, dando alle stampe un prodotto non all'altezza della propria fama. Timori dissipati dai primi minuti di "Travels In The Dustland": basta ascoltare la voce di Carla Togerson nell'iniziale "My Diviner" per essere ripagati completamente della lunga attesa.
Chris e Carla si confermano protagonisti di un sodalizio benedetto dagli dei, accanto a loro vengono confermati Michael Wells al basso, Glenn Slater alle tastiere e Terri Moeller alla batteria, più la new entry Paul Austin (già con Willard Grant Conspiracy) alla chitarra.
"Dustland" è meno cattivo di "Acetylene", un tantino più rifinito, ma altrettanto efficace, con undici tracce che sanno di polvere americana e di chitarre ben stagionate. Il paese della polvere è un po' quel Sahara nel quale Eckman ha coordinato il riuscito esperimento Dirtmusic, ma soprattutto è quell'America post 11/09 che neppure Barack Obama riesce a rimettere in carreggiata.
È l'America, ma è un po' tutto il mondo, schiacciato da una crisi che non vede la fine, che non vede spiragli d'uscita, dove i mercati finanziari sono in grado di pilotare le sorti di interi paesi.
Carla è la dolcezza, Chris l'indignazione, la qualità delle canzoni è come al solito straordinaria, folk rock che si contamina con un sopraffino approccio alternative. Come al solito alcuni brani risultano programmatici sin dal titolo ("Every River Will Burn"), ma questa volta l'aggressività resta latente, controllata, in un gioco d'insieme assolutamente riuscito e di gran classe.
È il viaggio il motivo dominante ("Long Drive In A Slow Machine"), fra blues metropolitani ("Rainmaker Blues") e orizzonti irraggiungibili ("Horizon Fade"), con il vento sempre pronto a scompigliarci i capelli ("Thin Of The Air").
I Walkabouts tornano a rubarci l'anima ("Soul Thief") per regalarci meravigliose storie di terre polverose ("The Dustlands") e cieli malinconici ("Wild Sky Revelry"), con episodi di una dolcezza disarmante ("They Are Not Like Us") alternati ad altri classicamente rock ("No Rhyme, No Reason").
Un risultato strepitoso, oltre le più rosee aspettative, conseguenza di immenso mestiere, grande equilibrio di fondo ed ispirazione costantemente su livelli d'eccellenza.
Uno dei dischi di americana più riusciti del 2011, forse il migliore.
17/11/2011