Chi ha imparato a conoscere la Fuzz Orchestra attraverso i precedenti due dischi, lacuna che qui su OndaRock dovremo colmare al più presto, e li apprezza per ciò che già sono non rimarrà sicuramente deluso da questo terzo capitolo della loro produzione. Sempre ancorati a una formazione a tre membri, a un primo ascolto gli elementi che hanno reso celebri il suono della band nel (corto)circuito indipendente ci sono tutti. Anzi, stilisticamente "Morire Per La Patria" sembra constatare la summa e l'unica evoluzione possibile rispetto ai precedenti lavori, e soprattutto rispetto a quel "Comunicato N°2" che già entusiasmò gli animi di molti nel 2009. Tant'è che addirittura ci si stupisce del senso di continuità dato dall'iniziale "Sangue" rispetto alla conclusiva "Marmo Rosso Sangue", posta in chiusura del disco edito ormai quattro anni fa.
Poi, pian piano, ci si accorge di significative differenze. In primo luogo, Paolo Mongardi (Zeus!, Ronin, Jennifer's Gentle, Fulkanelli) ha sostituito il dimissonario Marco Mazzoldi dietro le pelli. Tanto talentuoso quanto sibillinamente psicotico, Mongardi (oltre a essere inequivocabilemente uno dei migliori batteristi oggidì in circolazione) ha spostato l'asse delle composizioni dall'originaria verve sessantottina in quanto sottilmente "psichedelica" verso una struttura decisamente più riottosa e contestataria. Il tono generale che ne traspare diveta quindi più cupo, amaro e introspettivo, opaco e al contempo monumentale, proprio come richiama l'iconografica foto promozionale posta all'interno del cd. Spettri della scena italiana di questi fantomatici Noughties aleggiano su tutto il disco con i nomi e cognomi di quanti sono riusciti (tra i pochi) a illuminare questa catastrofica parabola con poche luci e molte ombre: Dario Ciffo (violino su "La Proprietà"), Enrico Gabrielli (voce, clarinetto, sax e flauto traverso distribuiti su "In Verità vi Dico" e "Il Paese Incantato"), Xabier Iriondo ed Edoardo Ricci (rispettivamente, chitarra e sax su "Viene il Vento").
Le manipolazioni sonore di Fabio Ferrario, figura tanto iconografica quanto ingegnosa, si fanno tramite di un sentimento di desolazione e mestizia per le sorti della nostra penisoletta e del mondo tutto, elemento che pervade l'intero album. Sottraendo qualche sporadica speranza, l'articolazione delle canzoni è quasi claustrofobica, a tratti austera, ma enfatizzando l'aspetto progressivo (ma mai progressive, sia ben chiaro) con moltissimi input emotivi mica da ridere ("Morire per la Patria"), cambi d'umore e di atmosfera ("Svegliati e Uccidi", "In Verità vi Dico").
Ciò però avviene con immutata nonchalance e non perdendo soprattutto quella particolare vena ironico-dissacrante che ha caratterizzato sempre la produzione dei milanesi. Infatti i suoni cupi e decisamente heavy, si mischiano a caldi climi tribali e intuizioni vintage che s'insinuano nelle pieghe connettive di un tessuto altrimenti nero.
Imprescindibile dal vivo, "Morire per la Patria" è un disco che si diverte a passare dai toni solenni e magnetici a quelli più emotivi e accorati, con le consuete incursioni nel mondo pop italiano (Volonté, Pasolini, Petri e Rosi, ma non solo: gli audiosample di Ferrario hanno dell'incredibile) e incosueti caldi ritmi tribali ("Il Pase Incantato"), dimostrando di non avere nessuna sorta di paraocchi e una mal celata passione per ciò che di bello la nostra nazione è riuscita a regalarci.
Sebbene da queste parti amiamo solitamente rimanere cauti, questa volta giochiamo d’anticipo suggerendovi un album che per le generazioni future potrebbe suonare dirompente ed essenziale quanto fu “Abbiamo Pazientato 40 Anni. Ora Basta!” dei Disciplinatha per quelli della nostra. Meriterebbero, in verità, uno studio approfondito i tre scapestrati della Fuzz Orchestra. Luca Ciffo sabbathiano alla Gibson “diavoletto”, Paolo Mongardi mazzuolatore sublime, Fabio Ferrario bad brain dietro audiocassette, tastierine e cibori che ad avere vent'anni probabilmente nemmeno si conoscono, sono una specie di santissima trinità che ha ampliato ciò che Ciffo e Ferrario hanno fatto (con Marco Mazzoldi) fino al 2009 in una sorta di crossover stoner e sui generis che potrebbe piacere tanto a un estimatore dei Tool quanto a uno dei Calibro 35. Infine, l'impatto filo fascista (che a tratti sembra subconsciamente dileggiare e smascherare gli isterismi di un certo Capovilla) è una pura facciata per una free-form sonora ed estetica che li accompagna per tutte le tracce di questo disco. Sette roccaforti anarchoidi sempre intelligenti e spesso avanti sui tempi. Qui i rimandi giocano ancora più incisivamente rispetto al passato, con ottimi risultati.
03/01/2013