Questa ristampa della Projekt riporta alla luce, per il suo decimo anniversario, un disco passato per certi versi in secondo piano della discografia dell'artista statunitense.
Colonna sonora del film (allegato in dvd) "Time Of The Earth" di Steve Lazur, quest'opera si incanala nello stesso percorso mentale e spirituale che fu di "Koyaanisqatsi" e di "Microcosmos", due pellicole capaci di imprimere anche nel suono forze dissonanti e invasive, che penetrano e disturbano la psiche ordinaria.
Qui è la forza immaginifica e sacra del deserto a dominare e "strutturare" l'operato di Roach, artefice di un ambient minimale in cui le connotazioni tribal ed etniche, che l'hanno molto spesso caratterizzato, lasciano lo spazio a un divenire rarefatto sino al vuoto immobile. È il vento che si muove tra le dune e gli anfratti a modellare il quasi impercettibile tessuto ritmico del disco, che vive i suoi momenti più emotivi e onirici nella parte centrale, quando i sommessi stridori di "Walking Upwright" si aprono fra le pieghe percussive di "True West", disegnando una selvaggia cavalcata al rallentatore verso un orizzonte sgranato e sospeso dai sintetizzatori. "Holy Dirt", d'altra parte, raccoglie in sé gli umori più materiali e ipnotici del disco, sigillando in un notturno feticcio rituale il lato panico, più animistico dell'opera.
Da qui poi si lasceranno in disparte, abbandonate, le vesti di qualsiasi suono terrestre per elevarsi in uno stato quasi di trascendenza. Non appare alcuna dialettica, nessuno scontro di suono, solo una lirica assenza di vibrazioni, in favore di un'elegia di tenui sintetizzatori.
Il percorso da "Two Rivers Dreaming" a "The Return" è un castello spoglio dall'eleganza cristallina, che sbiadisce lentamente, come il lento scivolare della sabbia.
"Day Out Of Time" non è sicuramente una delle opere seminali di Steve Roach, ma riesce ad affascinare grazie alla magia del suo vuoto su cui sottili strati emotivi di realtà si appoggiano per poi svanire.
11/08/2012