Ormai auto-elettosi custode della tradizione del folk britannico, così come Oldham può esserlo per quello americano, Alasdair Roberts giunge alla pubblicazione di un disco di inediti veri e propri, dopo i più o meno espliciti tributi alla tradizione di “Too Long In This Condition” e “Urstan”, collezione quest’ultima di canzoni in gaelico, uscita l’anno scorso.
Anche in questo “A Wonder Working Stone” siamo di fronte a un’operazione di recupero integerrimo, un purismo che ci si potrebbe divertire “reazionario”, per come si colloca anche rispetto ai riferimenti della musica moderna (Pentangle) e del neo-folk britannico – che interpreti come Sharron Kraus, per non dire David Tibet, hanno saputo declinare con sensibilità personale e soprattutto con una certa impronta artistica.
Il carattere predominante di “A Wonder Working Stone” è invece l’espressione di un mestiere ereditato, una ricostruzione storica sapientemente agghindata, ma priva di qualsivoglia freschezza artistica. Si gorgheggia di un tempo andato, accompagnati da una banda medievale di fiddle e corni (“Song Composed In December/The Bluebell Polka”, conclusa da un rap in gaelico), ma l’esecuzione e l’arrangiamento – oltre all’impianto concettuale – hanno di gran lunga la meglio sulla scrittura.
È così che si ha la sensazione che si prova nell’assistere alle ultime prove di Oldham: un lungo divertissement, tanto ineccepibile quanto inerte (come nell’ebbra jam di “Scandal And Trance/We Shall Walk Through The Streets Of The City”).
Insomma, un’infatuazione temporanea è possibile, per questo “A Wonder Working Stone”; ma, quando è l’amore per un’idea a muovere il tutto, presto il legame si sfalda.
28/01/2013