Dichiarare che “In A Tidal Wave Of Mystery” non risenta in nulla del suo status di scommessa major sarebbe quantomeno fuorviante. La dimostrazione sta nel sound e negli arrangiamenti, figli in toto di quel processo radicato nella tarda metà degli anni Duemila ed esploso nel decennio in corso che ha visto una sostanziale fusione fra le forme più easy di pop e dance, con annesso recupero del fenomeno nineties. Il punto di forza del duo di Los Angeles sta però nell'aver mantenuto intatto il songwriting, nella capacità di scrivere canzoni di fattura pregevolissima che non mirano certo a rivoluzionare il mondo del pop ma nemmeno a prostituirsi platealmente ai compromessi da classifica. Un trend che aveva già visto protagoniste le due band sopracitate ma anche gli ultimi Coldplay, e che è sempre più lecito sperare possa essere un'importante via di fuga per un mainstream ormai sfiancato dalle plastiche, monotone e insopportabili hit di star e produttori privi di qualsiasi caratura artistica.
Così una canzone semplice e accattivante come la hit “Safe And Sound” - l'unico episodio fortemente chart-oriented assieme all'inno da stadio “I Sold My Bed, But Not My Stereo” e al duetto con Soseh di “Chasing You” - è ossigeno puro per il circuito radiofonico internazionale. Ma per capire che i Capital Cities non sono solo “la solita band commerciale” basta tendere l'orecchio a “Kangaroo Court”, secondo singolo issato su movenze funky e guidato da tastiere scintillanti, collegato all'ouverture dagli ammiccamenti al rallenty di “Patience Gets Ust Nowhere Fast”. Di brano in brano l'anima originaria dei due fuoriesce facendosi spazio fra le coltri elettroniche o alterandone la chimica: nel primo caso si giunge a nostalgie vintage come la disco-driven “Chartreuse”, il puro indie-pop di “Lazy Lies” o la ballata honky “Love Away”. Nel secondo, invece, prendono forma le creazioni più interessanti: il caleidoscopio psichedelico “Origami” - leggasi il Casablancas versione solista che incontra i Passion Pit – gli echi malinconici dietro atmosfera festosa di “Tell Me How To Live” e l'immersione nel mondo Daft Punk di “Center Stage”.
Non ci sono gioielli memorabili o possibili classici del pop contemporaneo, e proprio per questo “In A Tidal Wave Of Memory” non può certo battagliare con i Bastille e il loro “Bad Blood” per il titolo di disco mainstream dell'anno - “Random Acess Memories” è per ovvie ragioni fuori concorso. Ma a conti fatti, l'esordio dei Capital Cities è un lavoro genuino che porta al suo interno un'anima personale non così facile da scovare nei brani che da qui a fine anno le radio di tutto il globo manderanno in heavy rotation. Ed è di album e artisti del genere che il mainstream necessita per recuperare quella credibilità perduta quasi del tutto negli ultimi anni: un processo, quest'ultimo, al quale l'estate 2013 sembra aver dato delle buone basi di partenza. Ora non resta che aspettare, speranzosi quanto giustificatamente ottimisti.
(11/09/2013)