Pochi musicisti, al giorno d'oggi, hanno dimostrato una capacità di interpretare l'ambient-drone peculiare e sfuggente come quella di Rafael Anton Irisarri. Nella musica del californiano ci sono echi delle gallerie malsane di Aidan Baker, rimasugli delle mareggiate notturne di Helios, qualche salto nel romanticismo di Eluvium, stalattiti ereditate dalle glaciazioni dell'ultimo Celer e l'immancabile passione per le “classiche “ esplorazioni galattiche di quei corrieri che anni prima, nella sua stessa terra, hanno brevettato la forma classica dell'ambient music elettronica. Una sorta di summa delle declinazioni più terrene e concrete di un genere che negli ultimi anni è stato spesso condotto all'astrazione pura.
Il soggetto che il polistrumentista ha deciso di riprodurre in questa sua nuova tela è il Lago Salton, protagonista di uno dei più grandi disastri ambientali della storia degli Stati Uniti. Formatosi dall'ostruirsi di canali d'irrigazione delle campagne circostanti l'omonima pianura, che riversarono per anni le loro acque sui terreni della stessa, divenne megli anni Cinquanta un'autentica oasi naturalistica e meta turistica, salvo poi essere contaminato dalle acque di scarico di fabbriche e industrie sorte nel frattempo sulle rive dei fiumi che lo attraversano. Oggi sulle spiagge del lago giacciono alberi morti e carcasse di pesci, a fungere da tragico paesaggio assieme ai resti della presenza umana del periodo del suo splendore.
Irisarri affida la sua descrizione a cinque lunghe odissee sonore, intrise nelle quali si trovano in quantità variabili tristezza, malinconia e nostalgia. La sola “Fear And Trembling”, chiamata a musicare un primo impatto visivo e sensitivo, cerca un contatto con il macabro che si traduce in un brulicare di feedback su un terreno di droni fangosi e fetidi, prima che la nostalgia investa di bagliori delicatissimi la meravigliosa “Her Rituals”, fra gli highlight ambientali dell'anno. Quella di “The Witness” è un'oscurità desolante, la notte che cala portandosi dietro il silenzio: non c'è vita né dinamismo di nessun tipo, e pure quando - nell'omaggio al maestro Harold Budd di “Daybreak Comes Soon” - le prime luci del giorno si affacciano, la nebbia ne filtra gran parte della forza.
Così anche l'unica concessione al pianoforte di un disco per il resto per la prima volta totalmente elettronico si spegne in una ragnatela di nebulose, pronta a ridursi solo nel finale da lacrime dell'altra gemma del disco, la desertica “Lesser Than The Sum Of Its Part”. Un inchino a quei flussi che Steve Roach ha esplorato in ogni minimo dettaglio, evoluto e mescolato in ogni combinazione possibile, con i quali ha musicato i paesaggi più disparati. E la chiusura con esplosione noise e successivo corale sintetico sembra quasi uno sfogo, con conseguente e speranzosa preghiera, una presa di posizione su una situazione che rischia di mettere a repentaglio la salute dell'intera California, a causa per assurdo di quella che fu, tempo fa, uno dei luoghi naturalistici più belli del mondo. Musica d'ambiente che arriva a farsi, al culmine del suo pathos, musica per l'ambiente. Sublime, nel significato più strettamente romantico del termine, che si fa ambient music.
28/12/2013