Jake Bugg

Shangri-La

2013 (Virgin Emi records/ Universal)
brit-rock

Secondo album per il diciannovenne cantautore di Nottingham nonché primo significativo cambio di scenario produttivo: dai grigi, violenti e proletari sobborghi di Clifton il Nostro, reduce dall’ottimo successo di pubblico ottenuto all’esordio, approda sulla soleggiata costa di Malibu, California, alla corte di un produttore veterano e assai stimato come Rick Rubin. Presso il suo personale studio di registrazione, Shangri-La (che darà poi il nome a l’intero lavoro), la scorsa estate sono state incise le dodici tracce del disco, arrivato nei negozi a poco più di un anno dal precedente. In realtà, al di là del viaggio trans-oceanico, assodata la presenza rassicurante di un "regista" esperto dietro le quinte - sensibile nel rispettare le volontà, gli orientamenti stilistici del suo cliente - risultano pochi e neppure troppo significativi gli innesti melodici,
i passi avanti compiuti in fase d’arrangiamento, l’ambizione o gli stimoli a spingersi oltre il seminato.

La proverbiale carne al fuoco risulta insomma gommosa e raffreddata: di sicuro le sue giovani, numerose fan saranno ben felici di banchettare, sospirando ancora una volta all’inquieto faccino da poster brit-rock, ragion per cui promoter e discografici potranno dormire sonni tranquilli.
Peccato per tutti gli altri ascoltatori: a loro “Shangri-la” riserva e conferma un Jake Bugg innamorato come non mai del suo pesante bagaglio anni Cinquanta/Sessanta, mai vissuto, idealizzato e riverniciato in salsa contemporanea. Come di consueto, c’è posto per il Johnny Cash più rockabilly, quello delle incisioni presso la Sun Records (“There’s a Beast…”); graffia il Dylan neo-elettrificato à-la “Bringing It All Back Home”; sussurra il Donovan più gentile acusticamente folk (“Me & You” e soprattutto “Pine Trees”).

Infine, per gettare un ponte tra passato e presente, incasellando il proprio tassello nel mosaico del rock attuale, ecco una manciata di brani trascinati ora dalla forza dei primi Arctic Monkeys (“What Doesn’t Kill You”: va detto che il buon Jake rispetto a loro recita la parte dell’astuto cuginetto, arrivato giusto in tempo per riproporre quella lezione, riempiendo così un vuoto redditizio ora che i Monkeys sono stilisticamente altrove), ora dall’andamento Glam Boogie dei Black Keys (“Kingpin”).
Solo scorrendo accuratamente i testi, appare chiara la volontà di lasciarsi alle spalle certi ricordi da gioventù di periferia in favore di un presente di successo, vissuto quasi esclusivamente "on the road", tra alberghi, groupie, festival, interviste e copertine di settimanali patinati. In questo senso, siamo d’accordo con tutti gli aggettivi più o meno simili a “genuino” che invece sono stati spesi per descrivere il paesaggio sonoro.

Peccato, perché, musicalmente parlando, mentre scorriamo le canzoni del nuovo album riusciamo a intravedere interessanti schegge di un "altrove": capita con il mid-tempo “All Your Reasons”, nel suo incedere dolente; succede ancora tra le spire dell’ipnotica “Kitchen Table”, dialogo liquido tra chitarre e tastiere. “Storm Passes Away” in chiusura fa addirittura sorridere, con la sua barcollante andatura country-folk reminiscente del songbook di Woody Guthrie o di un film dei fratelli Coen. L’appuntamento con le carte da cambiare in tavola per ora è rimandato, i nuovi assi restano per una mano ancora tutta da giocare.
Già, perché, se ancora non si fosse compreso, “Shangri-La” è un disco tutto teso a consolidare una posizione ormai acquisita sulla scena brit-rock, a cementare definitivamente un successo beandosi anche un po’ della riuscita del progetto, almeno in Europa. Come si scrive in questi casi, staremo a vedere.

22/11/2013

Tracklist

  1. There’s A Beast And We All Feed It
  2. Slumville Sunrise
  3. What Doesn't Kill You
  4. Me And You
  5. Messed Up Kids
  6. A Song About Love
  7. All Your Reasons
  8. Kingpin
  9. Kitchen Table
  10. Pine Trees
  11. Simple Pleasures
  12. Storm Passes Away

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