Il percorso che da qualche anno a questa parte sta portando Stephan Mathieu a scalare la piramide dei massimi esponenti dell'ambient music contemporanea pare non volersi concedere ad alcuna battuta d'arresto. Al pari di quanto avvenuto nel periodo recente per l'amico Taylor Deupree, il fu pioniere del microsound ha progressivamente abbandonato il microcosmo abstract – pregno, ormai, di troppe produzioni formalmente impeccabili ma prive di spunti per far progredire il genere – per sposare l'universo dell'atmosfera pura, dove il talento descrittivo riesce ancora a giocare un ruolo più importante della portata innovativa.
Se l'approdo su 12k per il gioiello “A Static Place” aveva segnato il primo step di quest'evoluzione nel soundworld di Mathieu, la splendida collaborazione con David Sylvian nella riscrittura ambientale del suo “Blemish” era stato ad oggi l'apice del nuovo corso del tedesco, che si era poi ripetuto in chiave espressionista nell'ultimo “Un Coeur Simple” e arriva oggi a un primo grande compimento in questo “The Falling Rocket”. Il nuovo, doppio disco – pubblicato solo in formato Lp - segna il ritorno su quella Dekorder specializzata nel licenziare di solito solo 12'' e uscite minori di grandi nomi dell'area elettro-sperimentale. Una sorta di rifugio a cui Mathieu si affida dopo aver comunque pubblicato la versione digitale dell'album, con scarso successo, tramite la sua Schwebung.
Il disco riprende dunque laddove il suo predecessore aveva lasciato, abbandonando in via quasi definitiva le microstrutture del passato per mirare questa volta a un'ambient isolazionista e sfumata dal retrogusto cosmico. Non siamo lontani, a dire il vero, dai territori esplorati con Robert Hampson in quell'"Ablation" che ha sancito quest'anno il ritorno del marchio Main: “Gliese 229 B” potrebbe essere in tutto e per tutto un outtake di quell'esperienza, grazie alla delicatezza dei suoi droni rarefatti e intrecciati. Il primo disco procede tutto in una direzione simile, all'insegna di un'atmosfera intangibile e astrale, declinata nella fioca luce riflessa di “Keid”, nei banchi di stelle e vuoti di “Lacaille 8760” e nelle languide spirali di “55 Cancri”.
Tutti e quattro i brani si caratterizzano per la medesima durata di dieci minuti e dieci secondi, fenomeno che si mantiene anche nel secondo disco, fatta eccezione per due brani d'apertura: i due minuti e dieci secondi di languori sintetici dal sapore agrodolce di “Denneb” e la sorprendente e sensazionale estasi stellare di “IK Pegasi”, quasi un inchino a Kevin Braheny. Nelle contorsioni suadenti e distorte di “Teide 1” pare invece di sentire un dialogo tra Seirom e Aidan Baker, prima che l'oscurità torni a regnare sovrana nei tunnel di “Cha 110913”.
Il congedo è affidato a un drone ovattato, protagonista unico della dolce culla di “Kepler-11”.
“The Falling Rocket” è l'apoteosi del Mathieu odierno, un exploit che se da un lato sembrava lecito aspettarsi da un musicista del suo talento, dall'altro sorprende per la velocità e il basso profilo con cui giunge a noi. Vi si trovano, mescolate e amalgamate, la capacità evocativa di quello che è divenuto uno degli esponenti massimi dell'ambient contemporanea, una varietà di atmosfere tutto fuorché scontata, un mix di stili divenuto sempre più personale e quella perfezione tecnica che è tratto somatico da sempre della sua produzione. Uno dei vertici della sua carriera.
13/07/2013